Dovevano essere finalmente i campionati europei dell’ospitante Portogallo piena zeppa di classe e talento. È passata alla storia invece come la stoica e leggendaria vittoria della “piccola” Grecia di Otto Rehagel.
Da allora in Grecia, storicamente e per natura divisa in tutto e per tutto, festeggiano il 4 luglio 2004 come il giorno del miracolo, la data che ha unito tutti i greci: quella della vittoria più inattesa e incredibile nella storia del calcio, la conquista del campionati europeo.
Probabilmente anche più di quella della Danimarca del 1982, visto che qualche campione lo aveva comunque in squadra la selezione danese.
Gli ellenici arrivano in finale in maniera rocambolesca, beffando i padroni di casa lusitani (con un gol di Charisteas, eroe e uomo simbolo di quella nazionale) veri favoriti e già pronti alla festa ai tempi supplementari.
Fu un vero e proprio incubo per i campioni portoghesi, che forse sottovalutarono gli uomini di Otto Rehagel, come ricorderà lo stesso allenatore tedesco in un’intervista post-impresa al magazine tedesco Auf Asche.
”La Grecia giocava male? Chi lo ha detto? Dove c’è scritto come si deve giocare a calcio? Io ho allenato e modellati la mia squadra in base alle caratteristiche dei calciatori che avevo. Ovvio che se avessi avuto Xavi, Iniesta e Messi avrei giocato più sul possesso e l’attacco. La verità è che noi siamo stati intelligenti e abbiamo lavorato al massimo delle nostre possibilità, mentre gli altri ci hanno sottovalutato. ».
Forse è anche per questo che gran parte del merito lo si dà, lo si deve dare, al tecnico di Essen, uno degli allenatori tedeschi più vincenti della storia del calcio.
Sì perché Otto Rehagel ha compiuto imprese meravigliose anche in Germania, vincendo campionati con squadre non di primo piano.
Nel 1980 porta il piccolo Fortuna Dusseldorf alla vittoria della Coppa di Germania poi, in un periodo di quattordici anni sulla panchina del Werder Brema, guida la squadra alla vittoria di due campionati tedeschi (sono solo quattro nella storia ultracentennale del Werder), di due coppe di Germania e della storica coppa delle coppe, uno grande alloro europeo nella storia del club, meritandosi addirittura una statua in suo onore. Statua che meriterebbe sicuramente anche spostandosi più a sud di 600 km, in Renania, a Kaiserslautern.
Non sazio di grandi imprese, riporta il club biancorosso (retrocessa l’anno prima) subito in Bundesliga, poi addirittura a vincerla l’anno seguente.
Fu la prima volta nella storia del massimo campionato tedesco a girone unico che una squadra neopromossa vinse il titolo. L’ultima nei cinque top campionati in Europa.
Un’impresa degna di Brian Clough…
Ma torniamo alla storica vittoria continentale della sua Grecia…
“Herr” Otto riuscì a plasmare un gruppo privo magari di grandi individualità, ma comunque dotato di giocatori di un discreto livello internazionale.
Il portiere Nikopolidis, i difensori Seitaridis e Dellas, i centrocampisti Zagorakis e Karagounis e l’attaccante, simbolo di quella Grecia, Angelos Charisteas, erano tutti buoni giocatori.
Il torneo si apre con la clamorosa vittoria nella gara d’esordio per 1-2 contro i padroni di casa portoghesi: i greci avrebbero chiuso poi il girone al secondo posto in virtù del successivo pareggio con la Spagna e dell’ininfluente sconfitta subita dalla Russia.
Per gli ellenici già questo risultato, visto la sua scarna storia calcistica, sarebbe stato motivo di orgoglio.
Ma ai quarti di finale succede qualcosa di ancora più incredibile. L’Hellas riesce ad avere la meglio nientemeno che sull’allora campioni in carica della Francia di monsieur Zinedine Zidane: 1-0 il risultato finale, grazie alla provvidenziale marcatura di bomber Charisteas…
È semifinale!
Le strade della Grecia e di tutte le sue 227 isole abitate sono in festa, la nazione è unita come non lo è stata mai.
Ma non era ancora finita.
In semifinale tocca alla Repubblica Ceca di Pavel Nedved e Milan Baros (futuro capocannoniere del torneo), una delle selezioni europee più forti in quegli anni.
Dopo aver portato con le unghia e con i denti il risultato di 0-0 ai supplementari, ecco un nuovo eroe greco. È il “colosso di Rodi” Traianos Dellas, come amava chiamarlo simpaticamente il suo C.T., a segnare il “silver gol” con un sontuoso stacco di testa e a regalare al suo popolo una leggendaria finale.
4 luglio, stadio “Da Luz”, Lisbona. Finale dei campionati europei: sarà Portogallo – Grecia, proprio come il match inaugurale.
Ma negli uomini di Felipe Scolari e in tutto il Portogallo, nonostante la sconfitta nella gara d’esordio, regnava molto ottimismo.
Con in squadra campioni come Figo, Rui Costa, Deco, Carvalho non sembrava difficile potersi sbarazzare della meno quotata selezione ellenica.
Vi era inoltre in quel gruppo già forte un diciannovenne di Funchal, che nei successivi quindici anni avrebbe scritto pagine indelebili di calcio: Cristiano Ronaldo.
Ma i temerari greci dalla loro non sembrano affatto spaventati , anzi. Sanno di potercela fare, ci sono già riusciti, li hanno già battuti.
E i ragazzi di Otto-Heinz Rehagel sfornano così un’altra coriacea e tosta prestazione, uniti e compatti, consapevoli che quella è forse la prima e ultima volta che gli si apre davanti la luminosa e accecante strada verso la gloria eterna.
Spezza l’equilibrio un gol, manco a dirlo, di Angelos Charisteas, che ribadisce in rete un cross su calcio d’angolo di Basinas.
È quasi il sessantesimo minuto.
Per la restante mezz’ora la Grecia, che fino a quel momento se l’è comunque giocata contrattaccando le offensive lusitane, bada solo a difendere quel gol.
Il Portogallo le prova tutte, fino a quando il tiro di capitan Figo a tempo ormai scaduto fa la barba al palo della porta difesa da Nikopolis.
Triplice fischio del fischietto tedesco Marcus Merck.