Quando pensi al primo nome di calciatore da archiviare sotto la categoria “fallimenti”, nonostante l’elenco sia potenzialmente sconfinato, la mente non può che correre da lui. Lui anzi, con la L maiuscola.
Sì perché chi ha vinto una Scarpa d’Oro, una Champions League (segnando, tra l’altro, un rigore decisivo in finale), una Supercoppa Intercontinentale, solo per citare i trofei più importanti, chi è stato nominato dalla propria Federazione calcistica come il miglior giocatore degli ultimi 50 anni, non dovrebbe proprio essere accostato a suddetta categoria.
Per quei pochi che non l’avessero capito, ai quali consigliamo un bel ripassino, perché certi nomi non si possono mai dimenticare, stiamo parlando di Darko Pancev.
Prima di Goran Pandev, prima di Ilija Nestorovski l’Italia sarebbe dovuta essere terreno di conquista per un altro macedone, arrivato con le credenziali giuste per lasciare il segno, oltre che con un cartellino attaccato alla schiena recante la cifra di 14 milioni di lire. All’epoca, stiamo parlando di inizio anni ’90, tanti soldi.
Darko Pancev, dopo aver rifiutato le offerte di Barcellona, Manchester United e Real Madrid, approda a Milano, sponda nerazzurra, dalla Stella Rossa di Belgrado.
“È stata tutta la situazione intorno a me che mi ha portato alla disperazione per non riuscire a dare il meglio. E pensare che avevo rifiutato offerte da Real, Barcellona e United”
L’esordio ufficiale del Cobra, così come veniva soprannominato in patria, è datato 26 Agosto 1992 quando l’Inter affronta in trasferta la Reggiana, in una di quelle sfide di culto, tardo-estive, di quella meravigliosa competizione che risponde al nome di Coppa Italia.
Quando si dice che il calcio d’Agosto conta poco o nulla solitamente ci si riferisce alle amichevoli e a tutti i discorsi che il calciomercato inevitabilmente porta con sé, spesso e volentieri però il discorso andrebbe esteso anche a queste partite di Coppa.
Darko Pancev, a chi ebbe la fortuna di assistere all’evento, regalò il repertorio completo: gol da rapinatore d’area, incornata di prepotenza e, per concludere, un bel “gol alla sua maniera”, così come lo ha definito il telecronista dell’epoca. Una bella tripletta all’esordio che fa sperare in un prosieguo scintillante.
Anche nella partita di ritorno, che va in scena la settimana successiva a San Siro, Darko Pancev regala una doppietta in 20 minuti di gioco.
Con queste premesse era difficile, onestamente, essere ricordati come uno dei più grossi bidoni transitati non solo nell’Inter ma in tutto il nostro campionato.
Eppure Darko Pancev è riuscito nella straordinaria impresa. Nel giro di qualche mese il Cobra si trasforma in un innocuo Ramarro, per gentile concessione della Gialappa’s Band, ed il suo apporto alla causa nerazzurra è prossimo allo zero assoluto. Gol sbagliati, tocchi imprecisi e quella goffaggine sempre pronta ad accompagnare ogni sua giocata.
«Giocavamo male, mi ricordo ancora di quando Bergkamp si confidò con me dicendomi che si trovava male in campo al che gli risposi: “Chiaro, qui segniamo solo con le punizioni di Ruben Sosa” »
Segna un misero gol in 12 partite giocate prima di trasferirsi in prestito in Germania, dove non va molto meglio se è vero che a fine stagione lo rispediscono al mittente senza troppi ringraziamenti.
Nella seconda incarnazione interista (stagione ’94-’95) realizza due reti in sette presenze di campionato prima di salutare definitivamente i Navigli.
Torna in Germania, al Fortuna Dusseldorf, per poi finire la carriera in Svizzera al Sion, squadra con cui vincerà Campionato e Coppa.
Il suo contributo alla causa? Otto presenze e due reti, entrambe in Coppa.