Bonaventura è il motore emotivo di Fondazione Milan. Nel suo giorno di riposo arriva in centro a Milano per un’iniziativa in cui persone con disabilità e normodotati giocano insieme a pallone, senza barriere. La sua disponibilità nei confronti di tutti lo rende un modello. Chi non gli chiede un selfie, lo abbraccia. Sono interista, mi dice una signora, ma a Jack gli si vuole bene comunque.
Preparo il set in uno dei campetti del centro sportivo. Chiedo all’operatore che la mia sedia sia vicino alla sua, per creare subito empatia durante l’intervista. Ho le mani congelate e Jack se ne accorge quando mi saluta con calore. Posso tenerla la giacca? Mi chiede. E ci mancherebbe altro.
La qualità principale di Bonaventura è la resilienza, la capacità di assorbire gli urti, di tenere gli occhi fissi sull’obiettivo, oltre le difficoltà. Tra le frasi che mi sono rimaste in mente di questa intervista, la più potente è “Aiutati che Dio ti aiuta”, perché le persone che hai intorno sono fondamentali, ma se ti rialzi in piedi dopo un grave infortunio, lo devi solo a te stesso.
Jack ama quello che fa, è determinato, affamato. Nei sorrisi amari si respira la sofferenza vissuta. Ora è felice, consapevole di essere un privilegiato. Quando può gira il mondo; il viaggio più bello? La Cambogia, senza dubbio. Lì allena il suo amico Honda. Il prossimo? Ora ci pensa. Intanto per giugno si tiene libero, l’Europeo è il sogno di ogni bambino. È ancora vivo, Jack. In bocca al lupo.