Sostituire un attaccante che ha fatto la storia di un club e ha lasciato un ricordo indelebile nel cuore dei tifosi non è mai impresa facile: la pressione è tanta, le aspettative elevate così come elevata è la probabilità di deluderle.
Certo se ti chiami Carsten Jancker, hai vinto già vinto tutto quello che potevi vincere al Bayern Monaco e puoi vantare numerose presenze con la maglia della tua Nazionale, quella tedesca, le cose dovrebbero essere un minimo più semplici. Dovrebbero, appunto.
Come avrete capito il protagonista di questo speciale è il gigante tedesco Carsten Jancker, 194 centimetri per 93 chilogrammi di peso, chiamato dalla famiglia Pozzo a Udine per riempire il vuoto inesorabile lasciato dalla partenza di Oliver Bierhoff e tentato di colmare inizialmente con l’acquisto del Pampa Sosa.
Bierhoff ha giocato a Udine fino al 1998, segnando gol a raffica e permettendo ai friulani di raggiungere piazzamenti storici, memorabile in tal senso il terzo posto nella stagione ’97-’98, in cui il tedesco realizza 27 reti. Dopo la sua partenza, come detto, arriva Roberto Sosa che pur non avendo l’impatto di Bierhoff riesce a dare subito un ottimo contributo alla squadra, in termini di gol assist e prestazioni.
Quando nel 2002 c’è la possibilità di prendere un attaccante con il pedigree del campione, qual è a tutti gli effetti il gigante Jancker, la società bianconera non se la lascia sfuggire. Ai tifosi non sembra vero: dopo Oliver Bierhoff di nuovo un attaccante di razza, stesso paese di provenienza, fortissimo nel gioco aereo ma abile anche con i piedi, in grado di realizzare gol spettacolari e di pregevole fattura nonostante la stazza. Uno che negli anni trascorsi in Baviera si è portato a casa quattro campionati, una Coppa di Germania, una Champions League e una Coppa Intercontinentale. Non esattamente una macchina da gol, certamente un attaccante che sapeva rendersi utile in tantissimi modi, sfruttando quel fisico da corazziere che aveva ricevuto in dote da madre natura.
Karl-Heinz Rummenigge, allora vice-presidente del Bayern Monaco, si era espresso in termini piuttosto netti riguardo al valore del giocatore: “Jancker è meglio di Bierhoff perché sa usare anche i piedi”. Dello stesso avviso, seppure un po’ più cauto nel giudizio, era anche il direttore generale dell’Udinese, Pierpaolo Marino: “Siamo certi di aver fatto un grandissimo acquisto”.
L’avventura del Panzer in Italia inizia nella stagione 2002/2003 e alla guida dell’Udinese c’è un certo Luciano Spalletti che ovviamente gli da subito una maglia da titolare. Il primo gol però tarda ad arrivare e bisogna aspettare addirittura 10 giornate per il primo centro del tedesco, realizzato contro il Chievo a metà Novembre. Spalletti comincia a spazientirsi e Iaquinta scalpita in panchina per giocare di più, cosa che inizia ad accadere con una certa continuità. In men che non si dica Jancker perde il posto da titolare e nel corso della stagione non riuscirà più a trovare la via del gol.
Nonostante la pessima annata rimane anche per la stagione successiva, dove le cose però vanno se possibile ancora peggio. In palese stato di appannamento fisico e mentale Jancker è ormai un rincalzo a tutti gli effetti. Segna due reti, una in Campionato contro la Reggina e una in Coppa Italia in 20 partite, o meglio in 20 scampoli di partita. Pozzo ha perso definitivamente pazienza e speranza e la stagione successiva non lo vuole più vedere nemmeno in fotografia.
Torna in Germania, al Kaiserslautern, nel tentativo di rilanciare la propria carriera ma quando un Panzer di quel tonnellaggio si inceppa è molto difficile, se non impossibile, rimetterlo in moto.
Decide quindi di fare una breve esperienza in Cina, ben prima che il trasferimento in oriente diventasse mainstream per concludere infine la carriera in Austria.
Dopo aver appeso le scarpette al chiodo, come parecchi suoi colleghi Carsten Jancker si è dedicato alla carriera da allenatore ed attualmente è al timone dell’Horn, società austriaca di seconda divisione. Come se la sta cavando da allenatore? Non benissimo, dal momento che la sua squadra è impantanata al penultimo posto.
Nel nostro immaginario rimarrà sempre quel gigante che si fa largo a spintoni e spallate, in grado di scaraventare in porta sassate da grande distanza così come di colpire con inaspettate prodezze balistiche; uno di quelli che, se avete imparato un minimo a conoscerci, ci scaldano il cuore.