Che tipo strano Nakata

    Che tipo strano Nakata

    Basterebbe un aneddoto di Francesco Totti nel suo libro “Un capitano” per dare l’idea di che tipo di personaggio, di che tipo particolare fosse…

    «Nella festa per la vittoria dello scudetto nello spogliatoio mancavo solo io. Appena entro, parte il tappo di una bottiglia di champagne. Non è la prima a giudicare dall’ambiente. Canti e balli mi coinvolgono subito, brindo con tutti e, come tutti, resto stupefatto e poi più che divertito da Nakata, che in quell’immenso caos si è seduto in un angolo e… Sta leggendo un libro. Un marziano».

    Sì un marziano, anche perché in un mondo come quello del calcio, a vederlo e ad ascoltare i suoi ex compagni, uno come lui un po’ stonava a dir la verità.

    Ma facciamo un passo indietro, a quando la Roma lo acquistò dal Perugia.

    Sì perché in quegli anni, Hide Nakata, era veramente un grande giocatore…

    Leggenda vuole che mister Fabio Capello, a cena con lui in un ristorante per convincerlo ad approdare alla Roma, con in mano un pezzo di pane che doveva “rappresentarlo”, gli disse:

    «Allora, tu giocherai qui, nel ruolo di Falcao».

    Forse Don Fabio, rapito dal fascino del Samurai, avrà intuito più in là che era più adatto a giocare da trequartista.

    Nel gennaio 2000 dunque, il compianto presidentissimo Franco Sensi riesce a portarlo all’ombra del Colosseo grazie in primis alla collaborazione del tecnico di Pieris appunto, che lo volle a tutti i costi, ma soprattutto grazie a quei pesanti 32 miliardi di lire (più i cartellini di Dmitri Alenichev e Emanuele Blasi) sborsati al club dell’allora patron Luciano Gaucci. Non di certo bruscolini all’epoca…

    E il picco della sua carriera lo toccherà sicuramente in giallorosso, la sera del 6 maggio 2001.

    Che tipo strano Nakata

    Stadio Delle Alpi di Torino, Juventus – Roma, partita di cartello della stagione.

    Con la Roma sotto 2-0, Nakata, nel match che è valso probabilmente lo scudetto, entrerà indelebilmente nel cuore dei tifosi giallorossi, grazie a due meravigliosi tiri, calciati da distanza siderale, che risulteranno decisivi: 2-2 e un pezzo di scudetto messo in cassaforte.

    Ma quelle saranno anche malinconicamente le ultime fiammate del giapponese che, dopo le fugaci esperienze di Parma, Bologna, Fiorentina e Bolton, deciderà incredibilmente di lasciare il calcio a soli 29 anni.


    «Ho smesso perché non mi piaceva più l’ambiente. Quando ho lasciato poi mi sono messo in viaggio. Ho girato in tutto il mondo, cento nazioni in tre anni. Dopo una carriera di soli hotel e stadi, volevo vedere nuovi posti. Ovunque mi riconoscevano non tanto perché fossi famoso io, quanto per la popolarità planetaria del calcio. Ho capito la grandezza di questo sport, la sua forza comunicativa. Mi sono detto: devo usarla per scopi benefici».

    Ed è così quindi che ha mollato tutto e ha scelto di cambiare completamente vita.

    «Ho creato una fondazione, dove lavoriamo con le onlus locali. Poi dovevo assolutamente conoscere il mio paese. Mi chiedevano spesso del Giappone e io ne sapevo poco. Spesso mi vergognavo di questa mia ignoranza. Così decisi di scoprirlo a fondo, l’ho setacciato tutto. Non il volto iper tecnologico delle grandi città. Volevo conoscere quello della tradizione, del saper fare artigianale…» 


    Così il calcio perse un talento che forse poteva dare di più al calcio, ma che ha preferito dedicarsi ad altro, come la maggior parte dei suoi connazionali d’altronde.

    Diego Maradona infatti di lui dirà: «Se tutti i giapponesi cominciassero a giocare come lui, saremmo perduti. Sa cosa vuol dire tirare la palla, dribblare… Meno male che per il momento i giapponesi si occupano d’altro».

    Già: menomale che, almeno loro, si occupano d’altro.


    Questa è l’incredibile storia di Hidetoshi Nakata, uno dei giocatori giapponesi più forti di sempre.

    Oliver Hutton permettendo…