“Don’t ask me again about war…” .
Risponderà così Dzeko, con il tono quasi disgustato e lo sguardo appesantito all’ennesima domanda sulla guerra in un’intervista alla CNN.
Sì, perché per il riservato Edin non è facile parlare di quella guerra che nella sua Sarajevo durerà quasi quattro anni.
In quei giorni infernali, racconta che erano in tredici in una casa di quaranta metri quadri. Edin ricorda che tutto d’un tratto, per la follia degli umani, si sentì privato dei diritti che un bambino dovrebbe sempre avere di poter giocare e divertirsi, e che l’infanzia, lui e i suoi amici, non l’hanno mai più riavuta indietro.
Ecco perché gli rimane difficile parlare della guerra.
Si poteva morire in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, persino mentre si giocava a calcio.
Ed è esattamente ciò che accadde nel 1993 in un quartiere di Sarajevo: due granate colpirono proprio un campetto dove si stava svolgendo un torneo giovanile. 13 morti, 133 feriti.
Proprio una partita di calcio con gli amici, per strada, avrebbe potuto costare la vita anche a Dzeko: lui voleva andare a tutti i costi, ma la madre gli vietò di uscire quel giorno.
Poche ore dopo, una granata colpì il luogo dove avrebbe dovuto incontrare i suoi compagni.
“In quella guerra ho perso molti amici e guardandomi indietro ho due possibilità: pensare di aver buttato via anni di spensieratezza, quelli che sono dovuti ai bambini, oppure pensare che quello che è successo mi ha fortificato. Ho preferito la seconda”.
La sua famiglia è costretta in quegli anni a spostarsi tra Sarajevo e il resto del paese per sopravvivere. Per il giocatore, che all’epoca era poco più che un bambino, è un periodo davvero duro.
«Non c’era molto da mangiare, e non c’erano dei pasti assicurati ogni giorno. Avevo sempre paura, quando sentivamo gli spari o le bombe che cadevano, ci nascondevamo dove capitava. La sensazione è che potevi morire in qualsiasi momento…».
Finita l’atroce guerra, inizia la sua carriera da centrocampista, con lo FK Zeljeznicar, prima di venir acquistato dal Teplice.
Ma è nel campionato ceco che Edin diventa attaccante: e gli effetti si vedono subito: viene nominato miglior straniero del campionato, grazie anche ai 13 gol in 30 presenze.
Si accorge di lui l’allenatore Felix Magath, che rimane stregato dalle capacità del giovane attaccante bosniaco portandolo nel suo Wolfsburg.
“Giocatori così grossi fisicamente e così forti tecnicamente difficilmente se ne trovano” dirà il tecnico tedesco.
Qui sarà decisivo per la storica vittoria del titolo per i Lupi tedeschi, affermandosi come uno dei migliori realizzatori del campionato (26 reti in 32 partite). A fine stagione verrà eletto persino miglior giocatore della Bundesliga.
Nella stagione seguente si laureerà capocannoniere della Bundesliga con 22 centri, prima di esser acquistato dagli inglesi del Manchester City, dove in quattro anni giocherà 189 partite, segnerà 72 gol, vincendo cinque titoli tra cui due Premier League.
Il passaggio alla Roma del 2015 gli permetterà poi di battere un record particolare, ovvero quello di essere il primo calciatore a segnare almeno 50 gol in tre top campionati europei: 66 con il Wolfsburg, 50 con i Citizens e 74 con la maglia giallorossa.
In carriera tra club (campionato e coppe) e nazionale bosniaca (maggiore e giovanili) ha totalizzato globalmente 767 partite segnando 347 gol: numeri fantastici, anche se potevano essere ancora di più, visti i tanti gol sprecati in carriera, spesso per la mole di lavoro che fa per la squadra.
Ma, come lui stesso ha detto, “Quando hai vissuto una guerra, i problemi del calcio sono davvero niente. Non ho segnato? Segnerò la prossima. Le cose importanti sono altre…”.