Oliver Bierhoff, l’ariete tedesco

    OLIVER BIERHOFF, L’ARIETE TEDESCO

    Il colpo di testa è un fondamentale che negli ultimi anni, soprattutto per quel che riguarda gli attaccanti, si sta un po’ perdendo ed il motivo è più di uno.

    Innanzitutto sono sempre meno le squadre che utilizzano un centravanti vecchio stampo, passateci il termine, dal fisico possente e dal raggio d’azione limitato all’area di rigore, in grado di sfruttare la propria stazza per sovrastare i difensori avversari.  In secondo luogo lo sviluppo del gioco in epoca recente ha fatto sì che molti allenatori prediligano il gioco palla a terra, agevolato da numerosi fraseggi ravvicinati, che raramente sfociano in cross finalizzati al colpo di testa a centro area.

    Per queste ragioni, e per tante altre, anche i buoni colpitori di testa difficilmente hanno tante occasioni per trafiggere il portiere avversario attraverso questo fondamentale, la maggior parte delle quali derivanti dagli sviluppi da palla inattiva. Come ben sapete, però, non è sempre stato così e basta andare indietro di qualche anno per trovare attaccanti che hanno fatto le loro fortune, e quelle dei rispettivi club in cui hanno militato, grazie all’abilità nel gioco aereo. Non solo a quella, sia chiaro, dal momento che per giocare in Serie A, soprattutto negli anni ’90, dovevi essere un giocatore a tutto tondo. C’è chi però ha rappresentato in tal senso una piccola eccezione, costruendo buona parte della propria carriera sulla formidabile abilità di colpitore di testa, arrivando persino ad innalzare il fondamentale a vera e propria arte.

    E’ il caso del protagonista di questa storia, il cui nome è associato in maniera indelebile all’abilità nel gioco aereo. Stiamo parlando di Oliver Bierhoff, attaccante tedesco visto in Italia con le maglie di Ascoli, Udinese, Milan e Chievo.

    OLIVER BIERHOFF, L’ARIETE TEDESCO

    La sua storia, prima di intrecciarsi con quella della nostra penisola, parte dalla Germania, paese dove Oliver Bierhoff nasce nel 1968. I primi rudimenti calcistici risalgono alle giovanili dell’Essen, squadra con cui si mette in mostra prima di approdare in Bundesliga con la maglia del Bayer Uerdingen, squadra che oggi si trova relegata nelle serie minori. Dopo un paio di stagioni condite da pochi gol, si presenta alla corte dell’Amburgo. Ha 20 anni e una tecnica poco più che rudimentale, almeno stando alle testimonianze di chi lo allena e di chi condivide con lui il terreno di gioco. Fisicamente però è già un ariete, di oltre 190 centimetri e poco meno di 90 chili di peso.

    Ad Amburgo rimane un anno e mezzo, senza impressionare particolarmente, poi passa al Borussia Mönchengladbach, dove va ancora peggio. In pochi mesi Bierhoff mette insieme solo 9 presenze e nessun gol, uno dei periodi più negativi come ammesso più volte dallo stesso calciatore.

    La probabilità di rimanere impantanato in un limbo di mediocrità in Germania è più che concreta, nonostante la giovane età, così Bierhoff opta per il trasferimento in Austria, al Salisburgo. Mai scelta si rivelerà più azzeccata perché è qui che inizia la scalata dell’attaccante, che in 32 presenze realizza la bellezza di 23 reti, attirando su di sé le attenzioni di diversi club importanti a livello mondiale.

    Dopo una sola scintillante stagione in Austria è l’Inter a farsi avanti e a portarlo in Italia, nel 1991. Con la maglia nerazzurra però Bierhoff non esordirà mai in quanto viene subito girato in prestito all’Ascoli, del vulcanico presidente Costantino Rozzi , che su di lui punta ad occhi chiusi. L’impatto con il calcio italiano non è dei migliori, per usare un eufemismo, complice anche l’annata non certo positiva della squadra, relegata in serie B a fine stagione. Per l’attaccante tedesco, a fine anno, solo la miseria di 2 gol in 17 presenze. Viene riconfermato in serie B e qui Bierhoff inizia a dimostrare che, forse, i giudizi espressi su di lui sono stati un po’ troppo affrettati. Nella prima stagione in serie cadetta diventa capocannoniere con 20 gol, mentre nell’annata successiva si deve accontentare del secondo posto in classifica marcatori. L’ultimo anno ad Ascoli coincide con una nuova retrocessione, dalla B alla C, e anche le prestazioni dell’attaccante tedesco non sono all’altezza.

    È il 1995 quando l’Udinese decide di puntare su Oliver Bierhoff, tra lo scetticismo di molti tifosi e addetti ai lavori. Scetticismo spazzato via già dopo poche partite, in cui si capisce che il modulo ed il calcio di Alberto Zaccheroni sono perfetti per esaltarne le doti fisiche e atletiche. L’Udinese cerca costantemente la fascia per arrivare al cross e sfruttare lo stacco imperioso del tedesco a centro area, uno schema che si rivela subito essenziale e mortifero per gli avversari. Il primo anno in Friuli porta in dote 18 reti, tra campionato e Coppa Italia, mentre il secondo solo 13, condizionato in maniera decisiva dagli infortuni. Arriva anche la chiamata della Nazionale tedesca, di cui farà costantemente parte dal primo anno di Udine in avanti.

    È nella terza stagione, però, che Bierhoff da il meglio di sé, diventando una vera e propria macchina da gol. Di testa è semplicemente ingiocabile e ogni volta che viene recapitato un pallone in mezzo all’area i compagni corrono ad abbracciarlo. Ventisette reti in campionato, due in più del fenomeno Ronaldo. Capocannoniere della Serie A e terzo posto in classifica per la sua squadra, al miglior piazzamento di sempre.  Il tridente con Poggi e Amoroso ha scritto tra le pagine più belle della storia bianconera, ammirato da qualsiasi amante di pallone a prescindere dal tifo.

    Zaccheroni a fine stagione lascia Udine in direzione Milano e si porta dietro Bierhoff, che così diventa un giocatore del Milan. Col Diavolo il tedesco conferma le ottime doti aeree e di realizzatore, pur non riuscendo ad avvicinare l’ exploit, almeno in termini di gol, della stagione ’97-’98, la sua migliore in assoluto senza discussione alcuna. Al suo primo anno in rossonero riesce comunque a vincere il campionato ed il suo bottino di 19 reti, 15 delle quali realizzate di testa, un vero e proprio record, risulta alla fine decisivo. Rimane altre due stagioni al Milan ma progressivamente la sua importanza nel club diminuisce, complice l’arrivo di alcuni grandi campioni, come Schevchenko, che lo costringono spesso e volentieri a partire dalla panchina.

    Nel 2001 lascia momentaneamente l’Italia per accasarsi al Monaco, dove rimane una sola stagione. L’impressione, confermata dalle prestazioni e dai gol messi a segno, è che la parabola discendente della carriera sia già intrapresa ma c’è tempo per un ultimo colpo di coda.

    Oliver Bierhoff torna in Italia, al Chievo, dove insieme alla squadra allenata da Delneri è protagonista di una splendida cavalcata conclusasi al 7° posto, ad un passo dall’Europa.

    È arrivato il tempo dei saluti, il gigante tedesco decide di ritirarsi per intraprendere la carriera da dirigente, ruolo che tuttora ricopre in qualità di team manager della Nazionale.

    Chiunque abbia avuto modo di veder giocare Oliver Bierhoff non può che concordare sul fatto che in un’ipotetica classifica dei migliori colpitori di testa in epoca moderna, un posto del podio gli spetti di diritto.