Da tanto a niente: può essere riassunta così la vita di Maurizio Schillaci, cognome altisonante per merito del noto cugino Salvatore che infiammò le ‘notti magiche’ di Italia ’90, di cui fu capocannoniere con 6 reti all’attivo.
Eppure si diceva che tra i due il più forte fosse proprio Maurizio, vecchio pupillo di Zdenek Zeman che lo allenò al Licata e al Messina: in mezzo un’esperienza alla Lazio, allora in Serie B, condita da frequenti infortuni che non gli permisero di sfondare come avrebbe voluto.
La delusione ebbe l’effetto negativo di condurlo sulla strada della cocaina e dell’eroina, viste come la ‘soluzione’ ideale ai problemi e alla frustrazione per non essere diventato una star come Totò, che nel corso degli anni ha provato anche a dargli una mano offrendogli un lavoro di custode di campi da calcio.
L’anticamera del fallimento, arrivato con la perdita degli affetti più cari: ora Maurizio è un clochard che si aggira per le strade di Palermo insieme al suo cane Johnny, da cui non si separa mai, anche a costo di rinunciare ad un rifugio per i senzatetto dove gli animali non sono ammessi.
La sua ‘casa’ è una Panda con le ruote bucate, tutto quello che al momento può permettersi: ‘Il Corriere dello Sport’ ha raccolto una sua breve dichiarazione.
La storia di Maurizio Schillaci è stata addirittura raccontata nel film ‘Fuorigioco’ che ha contribuito a tenere vivo l’affetto dei tifosi del Licata nei suoi confronti: quando questi sono giunti a Palermo ad ottobre per seguire il match di Serie D, lo hanno riconosciuto ed invitato allo stadio.
Una dimostrazione d’umanità per uno dei tanti rimpianti partoriti dal calcio italiano, incapace di sostenere il peso del successo nel momento più cruciale di una carriera nettamente inferiore alle enormi aspettative.