“Tutto quello che abbiamo chiesto a Marco, lui ce l’ha dato”. È Joey Saputo che parla, siamo nel mese di Ottobre del 2014, e il Marco a cui si riferisce è Di Vaio, attaccante che ha appena annunciato l’addio al calcio giocato dopo anni di militanza in Italia e un’ultima esperienza nella MLS, con la maglia del Montreal Impact.
Joey Saputo è all’epoca presidente della squadra canadese e proprio nello stesso periodo entra a far parte della cordata guidata da Joe Tacopina che si appresta a rilevare il Bologna.
Proprio quel Bologna che dal 2008 al 2012 è stato la casa di Marco Di Vaio, arrivato all’ombra delle due torri già trentaduenne e capace di regalare ricordi indimenticabili, arrivando ad infrangere numerosi record ed entrando nel cuore della gente come pochi altri, da quelle parti, sono stati in grado di fare.
Quando si parla di Marco Di Vaio, per qualche strano motivo, generalmente si tende a lasciarlo fuori dal novero dei grandi nomi di attaccanti che hanno lasciato un segno indelebile tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, eppure la sua carriera parla decisamente a suo favore.
Una carriera che, prima di arrivare a Bologna e chiudersi in Canada, parte dalla città in cui è nato, Roma, il 15 Luglio 1976.
Di Vaio entra a far parte delle giovanili della Lazio nel 1991 e già 3 anni più tardi, non ancora maggiorenne, viene aggregato alla prima squadra dall’allenatore Dino Zoff, che lo fa anche esordire prima in Coppa Uefa e successivamente in Coppa Italia. Il reparto offensivo biancoceleste, però, è piuttosto affollato e gli attaccanti non sono certo facili da scalzare. Ci sono Alen Boksic, Pierluigi Casiraghi e Beppe Signori, non proprio tre sconosciuti.
Per questo motivo non trova altro spazio in campionato e deve aspettare l’avvicendamento in panchina della stagione successiva, quando Zeman subentra a Zoff, per riuscire ad esordire in campionato. Il boemo in tutta la stagione lo utilizza 13 volte, 8 delle quali in campionato, venendo ricompensato con 4 reti.
L’attaccante scalpita in panchina e la società, nel Novembre dell’annata successiva, decide di girarlo in prestito prima al Verona e poi al Bari. In nessuna delle due piazze Di Vaio riesce a lasciare il segno ma l’esplosione non tarda ad arrivare e si materializza a Salerno.
Il trasferimento dalla Lazio alla Salernitana, a titolo definitivo, fa molto discutere perché la cifra sborsata all’epoca, 5 miliardi di lire, è un vero e proprio record per una squadra appartenente alla serie cadetta.
Di Vaio non delude le aspettative e dimostra ampiamente di valere quella cifra, contribuendo con le sue giocate e le sue reti, ad una storica promozione in serie A. Con 21 centri si laurea anche capocannoniere della categoria. È proprio in questa stagione che tutti si accorgono del valore del giocatore, un attaccante completo in grado di segnare tantissimi gol e con pochissimi punti deboli.
La sua arma migliore è la velocità con cui riesce sempre a prendere di sorpresa la retroguardia; non ha un dribbling ubriacante ma i suoi guizzi rubano spesso il tempo all’avversario ed il suo diagonale davanti alla porta difficilmente lascia scampo al portiere.
Sa concludere di precisione, ma anche di potenza così come di classe e ha l’innato pregio dell’attaccante di razza, quello di farsi trovare nel posto giusto al momento giusto.
Nonostante il suo metro e ottanta scarso di altezza segna anche di testa, sfruttando l’ottimo tempismo unito alla rapidità di pensiero, che gli consente di prevedere con largo anticipo dove sarà diretta la sfera.
La tecnica non gli manca di certo, né per dialogare con il compagno di reparto né per inventare la giocata decisiva, cosa che fa a più riprese.
Rimane a Salerno anche in Serie A ma l’annata è sfortunata e si conclude con la retrocessione della squadra, nonostante i 12 gol realizzati dall’attaccante.
A farsi avanti è il Parma, che gli permette così di rimanere nella massima serie. Le due stagioni migliori con i Ducali sono la 2000-2001 e quella successiva, quando segna rispettivamente 15 e 20 reti, imponendosi come uno degli attaccanti italiani più interessanti dell’intero campionato.
Nell’annata 2001-2002 meglio di lui, a livello realizzativo, fanno solo Hubner, Trezeguet e Christian Vieri, mentre attaccanti del calibro di Del Piero, Shevchenko, Crespo si piazzano alle sue spalle.
È un Parma ancora molto forte quello in cui milita Marco Di Vaio, che infatti vince una Supercoppa italiana e una Coppa Italia, pur non essendo stellare ai livelli della squadra in grado di imporsi in Coppa Uefa.
I tempi sono maturi per il passaggio ad una big, anche se come abbiamo appena detto il Parma si poteva già considerare per certi versi tale. A farsi avanti è la Juventus, alla quale Di Vaio aveva da poco segnato nella finale di Supercoppa disputata nell’Agosto 2002 e vinta poi dai bianconeri.
A Torino gioca con buona continuità, sia nella prima che nella seconda stagione, vincendo uno Scudetto e un’altra Supercoppa italiana. Con la maglia della Juventus, come avrà modo di dichiarare a carriera conclusa, realizza anche il gol a cui è più legato, quello contro il Milan a San Siro: “La cornice era bellissima e poi fu a tempo scaduto”.
La sua media realizzativa però non è quella né di Parma né tantomeno quella di Salerno e nel 2004 l’esperienza in bianconero si interrompe.
Passa in prestito al Valencia, allenato da Claudio Ranieri, dove disputa una buona stagione conquistando ad inizio anno la Supercoppa Uefa. Proprio nella finale di questa competizione, contro il Porto, realizza la rete più importante della sua avventura spagnola: Il colpo di testa al minuto 67 regala il doppio vantaggio alla sua squadra e a poco servirà il gol di Quaresma, arrivato dieci minuti più tardi.
Sono anni questi in cui Marco Di Vaio fatica a trovare il suo ambiente ideale e per questo continua a girare una squadra dopo l’altra. Dopo il Valencia è il turno del Monaco e poi di nuovo Italia, al Genoa.
L’attaccante romano sembra in una fase di appannamento tant’è che accetta di scendere nuovamente in serie B, come ad inizio carriera. Le sue 9 reti aiutano il Grifone a tornare in Serie A, al termine di una stagione conclusa al terzo posto. L’annata successiva è di nuovo sottotono, il preludio ad un nuovo trasferimento.
Di nuovo Emilia, non Parma bensì Bologna. Nel 2008 inizia l’avventura di Marco Di Vaio sotto le due torri, un posto che subito si dimostra adatto al carattere dell’attaccante.
Sente la fiducia dell’ambiente e soprattutto percepisce che la tifoseria, dopo aver visto Roberto Baggio e Beppe Signori, ha bisogno disperatamente di un altro idolo al quale aggrapparsi.
Di Vaio parte subito col botto e nella sua prima stagione in rossoblù mette a segno 24 reti in 38 presenze. Meglio di lui, nell’intero campionato, solo Zlatan Ibrahimovic a quota 25 gol.
A Bologna Marco Di Vaio vive una nuova giovinezza, certo non mancano le fasi di appannamento, più o meno lunghe, ma l’impressione è che la squadra vada dove la portano i gol e le prestazioni del bomber.
Tra le tante marcature da ricordare, le più significative sono le doppiette contro Juventus nella stagione 2010- 2011 e Inter nell’annata successiva.
Diventa ben presto capitano della squadra e idolo della tifoseria, il suo nome rimbomba all’interno del Dall’Ara specialmente quando c’è bisogno di un gol, che normalmente non tarda ad arrivare.
Come tutte le storie d’amore anche quella tra Marco Di Vaio ed il Bologna è destinata ad interrompersi, almeno momentaneamente in quanto avrà modo di ritornare da dirigente. Ma questa, come direbbe Carlo Lucarelli, è un’altra storia.
L’attaccante ha ancora qualche cartuccia da sparare e opta per l’avventura oltre oceano, nella squadra canadese di Joey Saputo, il Montreal Impact.
In due anni e mezzo gioca 84 incontri e segna 39 reti, prima di dare il definitivo addio al calcio giocato, dopo aver dato tutto come rimarcato dall’attuale proprietario del Bologna.
In totale, considerando l’intera carriera a livello di club, Marco Di Vaio ha disputato poco meno di 700 incontri e realizzato 268 gol, 142 dei quali nella massima serie italiana, un record che lo posiziona al 29° posto nella classifica dei migliori marcatori nella storia della serie A, a pari merito con Bobo Vieri e Paolino Pulici.
Il fatto di aver cambiato spesso casacca e di non essere riuscito ad imporsi definitivamente in un top club sono due fattori che probabilmente ci hanno fatto percepire in maniera lievemente distorta e offuscata il vero valore di questo attaccante, che andrebbe invece considerato per quel che realmente è stato, ossia uno dei migliori attaccanti della sua epoca.