La dinastia dei Bulls negli anni ’90

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    La storia. Felt Forum di New York, 19 giugno 1984, un luogo e una data che scriveranno la storia della pallacanestro moderna e dello sport americano. Il Draft NBA del 1984 è il primo che vede presenziare David Stern nel ruolo di Commissioner di una Lega non proprio al culmine della propria salute. Dimentichiamoci le modernissime arene, i giocatori simbolo, il merchandising su scala mondiale, gli eventi e le esibizioni in giro per il mondo… La NBA nel 1984 era un universo ben diverso da quello attuale che aveva bisogno di una scossa. Una scossa che proprio quel Draft era prossimo a dare. Alla numero uno, come atteso, gli Houston Rockets scelgono Akeem Olajuwon. Alla numero due, ricordato negli anni come il più grosso errore della storia NBA, i Portland Trail Blazers chiamano Sam Bowie. Alla tre, i Chicago Bulls puntano su un talento assoluto che esce da North Carolina: Michael Jordan. I Bulls sono reduci da una stagione da 27 vittorie, non partecipano ai playoff dal 1981, non raggiungono la Finale di Conference dal 1975 e in bacheca contano zero anelli. Non propriamente il posto migliore dove atterrare per tentare la scalata al gotha dello sport. Le tre stagioni successive vedono la franchigia di Chicago uscire sempre al primo turno dei playoff, ma Jordan ha numeri sensazionali (nel 1986/87 registra quella che sarà la sua personale media punti più alta in una stagione NBA, 37.1) e la sua leadership lascia intendere che ai Bulls manca solo un piccolo ingrediente per arrivare sul tetto del mondo. Quella aggiunta arriva nel 1989 con la promozione a head coach di Phil Jackson che arriva ad un passo dalle Finals nel 1990 ma nel 1991 porta i Bulls al loro primo titolo. Il resto è storia, dal famoso “I’m back” di MJ dopo il fugace ritiro, alla carriera incredibilmente sottovalutata di Scottie Pippen, alla firma chiave di Dennis Rodman e tanto altro.

    I numeri. Con i successi dal 1991 al 1993 e dal 1996 al 1998, i Chicago Bulls sono l’unica franchigia nella storia NBA ad aver ottenuto due serie distinte di almeno tre anelli consecutivi. Nella stagione 1996, la prima del secondo three-peat, i Bulls hanno ottenuto un record pazzesco di 72 vittorie e solamente 10 sconfitte: secondo miglior record all-time in stagione regolare, battuto solamente dai Golden State Warriors nel 2016 guidati da Steve Kerr – chi in quella stagione registrò il 51.5% da tre punti, seconda miglior prestazione all-time in una singola stagione per un giocatore con la canotta di Chicago dietro allo stesso Kerr l’anno prima (52.3%). Inoltre, fra le squadre che non hanno mai perso una serie alle Finals, Chicago è quella che ha conquistato più anelli (sei). Guardando alla panchina, Phil Jackson è attualmente l’head coach più vincente della storia NBA essendo l’unico in doppia cifra con 11 titoli e solo Red Auerbach (9 anelli tutti con i Boston Celtics) ha vinto più di “Zen Master” con una singola franchigia. Jackson è uno dei cinque vincitori del NBA Coach of the year ad aver vinto il campionato nella stessa stagione assieme a Red Auerbach, Red Holzman, Bill Sharman e Gregg Popovich. La straordinaria carriera di Michael Jordan è stata costellata di riconoscimenti con sei anelli, due ori olimipici, è stato 5 volte MVP della Regular Season, 6 volte MVP delle Finals, miglior realizzatore per 10 stagioni e nel 2009 è stato inserito nella Hall of Fame. Il quinto miglior marcatore della storia NBA con 32.292 punti è anche il giocatore che ha chiuso la carriera con la media punti a partita più alta (30.1) e detiene ancora ad oggi il record di punti segnati in una singola partita di playoff (63, contro i Boston Celtics nel 1986). Dopo il 1998, Chicago è tornata nell’anonimato cestistico, con sporadiche e poco convincenti partecipazioni ai playoff, e il solo titolo di MVP di Derrick Rose nel 2011. Quel 19 giugno di 36 anni fa ha regalato un viaggio da sogno ad una generazione intera, che ancora oggi continua a sognare pensando alla dinastia dei Chicago Bulls degli anni ’90.