Un’impresa che, anno dopo anno, è entrata sempre più nei cuori degli appassionati, consci forse che favole così ai tempi nostri difficilmente si ripeteranno.
Era il 12 maggio del 1985 quando una storica e indimenticabile Hellas Verona, pareggiando per 1-1 a Bergamo con l’Atalanta, conquistava matematicamente lo scudetto contro tutti i pronostici.
Era la serie A della Juventus di Michel Platini, del Napoli di Diego Maradona, della Roma di Falcao, del Torino di Junior e dell’Inter di Rummenigge, ma a vincere fu invece una piccola provinciale, allenata sapientemente da mister Osvaldo Bagnoli.
Una squadra tosta, assemblata perfettamente dal tecnico lombardo e con dei magnifici quanto romantici interpreti…
Il portierone Claudio Garella, destinato poi a conquistare un altro tricolore nel 1987 con il Napoli di Maradona. Il difensore tedesco Hans Briegel, non tanto roccioso quanto proprio scolpito nel granito, autore di ben 12 gol in quella meravigliosa annata. Il fantasista nostrano Pietro Fanna, capace di abbinare quantità e qualità. Il folletto Giuseppe Galderisi, detto “Nanu”, capocannoniere di quell’incredibile stagione gialloblu con 11 goal in 29 partite e che il tricolore se l’era cucito sulla maglia già due volte a Torino con la Juventus nelle stagioni precedenti.
Infine, il gigante danese Preben Elkjaer, otto gol per lui e tante guerre (vinte) in campo, per far spazio al suo compagno di reparto. Il centravanti fu l’autore in quel di Bergamo della rete che laureò il Verona campione d’Italia, ma anche di quell’incredibile goal realizzato alla Juventus… calciando senza una scarpa (gol che gli valse un nuovo soprannome affibbiatogli dai suoi tifosi, “Cenerentolo”): roba da nulla per uno soprannominato “Cavallo Pazzo” e che in quel magico 1985 fu secondo solo a le roi Michel Platini nella classifica del Pallone d’Oro.
La stagione si aprì con la vittoria sul Napoli di Maradona che, alla sua prima partita in serie A, avrà pensato: «Se questa è una squadra che deve salvarsi andiamo bene qui…». Che poi era la reale dimensione del Verona in quegli anni, anche se l’ottimo sesto posto della stagione precedente poteva già lanciare una sorta di segnale.
Poi in successione Ascoli, Udinese, Inter e Juventus. Risultati? Tre vittorie e un pari, uno 0-0 a Milano contro l’Inter. «Casualità!» penseranno in molti, «mica tanto» sembrano rispondere, in campo, gli scaligeri.
La prima sconfitta arriverà soltanto nell’ultima gara del girone d’andata, allo stadio Partenio contro l’Avellino di Ramon Diaz che lotta per non retrocedere (si salverà). I più iniziano con i soliti pensieri «normale che prima o poi perdesse»,«è durata fin troppo», «è l’inizio del declino», «non può lottare per lo scudetto»… Non può lottare per lo scudetto, esatto, perché non lotterà affatto: lo vincerà.
Un’altra sola sconfitta in tutto il girone di ritorno, in casa alla venticinquesima giornata contro il forte Torino di Schacner (che alla fine del campionato arriverà secondo), sette vittorie e sette pareggi. L’ultimo contro l’Atalanta alla penultima giornata come già detto, darà la matematica certezza del primo scudetto nella storia dell’Hellas Verona.
Un calcio indimenticabile, un calcio d’altri tempi.
Trentacinque anni fa il Verona diventava campione d’Italia: una favola? Un miracolo? Un sogno?
No, era tutto vero.