Il centravanti olandese è stato uno dei più grandi numeri nove di tutti i tempi, senza diritto di replica.
Aveva tutto: tecnica, fisico, potenza, classe, velocità. Tanto che, fin che i legamenti han retto, è stato il più forte di tutti.
Dopo aver segnato la bellezza di 152 reti in 172 partite all’Ajax (con una media pazzesca di quasi 0,90 gol a partita) e vinto tre campionati, tre coppe olandesi, una Coppa delle Coppe (proprio con un suo gol in finale), quattro titoli di capocannoniere consecutivi della Eredivisie e una Scarpa d’Oro (1986), Marco van Basten arriva al Milan nell’estate del 1987, a ventitré anni.
E nonostante Marco si fosse già fatto conoscere alla platea internazionale nell’Ajax, leggenda narra che Silvio Berlusconi si sia innamorato di lui per puro caso, mentre vedeva in video una partita dei lancieri contro il Liverpool di Ian Rush, vero obbiettivo di mercato dichiarato dal club. Quando il caso fa la storia…
Si presenta al suo nuovo pubblico rossonero segnando al debutto ufficiale in Coppa Italia al Bari e alla prima di campionato a Pisa. Sembra l’inizio di un’annata straordinaria, ma quella che sarà la sua più grande nemica in carriera, la caviglia, inizia a tormentarlo.
L’operazione è inevitabile, lo stop è di 6 mesi e la stagione sembra già compromessa.
Ma quando torna in campo il Milan sta rincorrendo il Napoli, ha bisogno anche dei suoi gol, e lui non si tirerà indietro.
Segna i gol decisivi contro l’Empoli a San Siro e contro la squadra di Maradona, nella decisiva gara giocata e vinta al San Paolo 3-1, con cui il Milan vince lo scudetto.
Tornato in piena forma nel finale di stagione, Marco si guadagna anche la convocazione ai campionati europei del 1988. Il commissario tecnico è il leggendario Rinus Michels, l’allenatore del calcio totale e vecchia volpe del pallone, sa che uno come Van Basten, anche se con poco minutaggio nelle gambe, può essere devastante.
E lo sarà, o si che lo sarà…
Dopo la panchina nel primo match, perso dagli olandesi contro l’URSS, l’allenatore capisce che non può proprio fare a meno del suo attaccante più forte, tanto da buttarlo in campo subito nella seconda partita contro l’Inghilterra.
Finirà 3-1 per l’Olanda, con tripletta di Marco Van Basten.
Dopo aver vinto anche la terza partita contro l’Irlanda, in semifinale l’avversaria sarà la Germania Ovest padrone di casa.
La partita è equilibrata, segna prima Mattheaus per i tedeschi, poi Koeman per gli olandesi entrambi su rigore. Ormai sembra tempo di supplementari.
Ma ecco che all’ultimo respiro un grazioso cigno proveniente da Utrecht allunga l’ala e vola a beffare i teutonici, regalando ai suoi connazionali la finale.
Finale che rimarrà nella storia proprio per un altro suo gol, forse il più bello della carriera (anche se di gol favolosi ne ha fatti tanti). Un tiro al volo ad incrociare che non lascia scampo al portiere sovietico Dasaev.
E rinvigorito dalla vittoria dell’Europeo, Marco, coadiuvato dai suoi connazionali Ruud Gullit e Frank Rijkaard, porterà anche il Diavolo sul tetto d’Europa…
La stagione 1988-89 vede il ritorno del Milan in Coppa Campioni dopo nove lunghi anni e van Basten è impressionante: segna a ripetizione (saranno 33 i gol totali), domina il gioco sia tecnicamente che fisicamente, conquista anche a dicembre il suo primo pallone d’Oro.
In Coppa Campioni segna ben 10 reti tra cui quella straordinaria in semifinale con colpo di testa in tuffo contro il Real Madrid nell’1-1 dell’andata al Bernabeu, quella del 5-0 del ritorno al Meazza e la doppietta nella vittoriosa finale contro lo Steaua Bucarest.
A novembre un suo gol al Barcellona nella finale di andata contribuisce alla conquista della Supercoppa Europea.
A dicembre, subito dopo la conquista della Coppa Intercontinentale contro i colombiani del Nacional Medellin, Van Basten vince anche il secondo Pallone d’oro consecutivo.
A dir la verità ne vincerà un terzo, nel 1992, dopo il secondo scudetto e il primo titolo di capocannoniere in serie A con 25 gol. Ma senza che nessuno lo sapesse, quello sarebbe stato l’ultimo anno…
«Una macchina da gol che si è rotta proprio quando stava per diventare il migliore di tutti. Lo è stato lo stesso, ma non è arrivato ad essere il numero uno» dirà Diego Armando Maradona. Un po’ contorto come pensiero ma ci sta, perché Marco ha lasciato proprio quando sembrava onnipotente.
Quelli sono stati gli anni indimenticabili del cigno di Utrecht, prima che, a soli ventott’anni, la caviglia non lo abbandoni una volta per tutte… E con sé anche il suo favoloso calcio.