Bello e dannato, ribelle e campione. Discusso, idolo, forse il più forte britannico di sempre. Sicuramente indimenticabile.
Poche ma chiare le parole scritte nel telegramma che Bob Bishop, osservatore capo del Manchester United negli anni sessanta, mandò a sir Matt Busby dopo aver visto giocare un ragazzino di 15 anni in Irlanda del Nord contro ragazzi più grandi: «Sir Matt, credo di averle trovato un genio!».
Di lì a poco avverrà il trasferimento nelle giovanili del Manchester, anche se, con i giovani, ci rimarrà poco.
Esordisce in prima squadra ad appena 17 anni nel match di First Division contro il West Bromwich Albion, mentre a 19 ha già la sua consacrazione internazionale nei quarti di finale della Coppa Campioni, quando al “Da Luz” di Lisbona segna una fantastica doppietta al Benfica di Eusebio. È l’inizio dell’inarrestabile ascesa calcistica ma anche mediatica del “personaggio” George Best. I quotidiani lo definiscono “il quinto Beatle” e il suo modo di fare e porsi lo trasformano in un vero e proprio “uomo copertina”.
E anche se poi in quell’edizione i red devils usciranno in semifinale contro il grande Partizan Belgrado, in Inghilterra è ufficialmente nata una stella.
Due anni dopo, stagione 1967-68, lo United vince la Coppa dei Campioni, la prima della sua storia e di quella del calcio inglese. Protagonista assoluto? George Best, che con una performance pazzesca elimina praticamente da solo il Real Madrid in semifinale, decidendo poi anche la finale con una rete ai tempi supplementari realizzata ancora una volta al Benfica.
Nello stesso anno si aggiudica anche il Pallone d’Oro e tutti sanno che in quel momento nessuno può competere con lui: a soli 22 anni, Best è già il migliore di tutti.
La sua fama diventa planetaria, tutti parlano di lui e in molti provano ad emularlo sia in campo che fuori. Senza saperlo diventa l’idolo dell’anticonformismo, non è più solo il fenomenale calciatore dalla tecnica sopraffina e dai dribbling ubriacanti, che mette il cuore quando scende in campo e che fa impazzire le folle con le sue accelerazioni (dopo aver letto questo articolo correte a cercare più video possibili su George Best: un qualcosa di favoloso) : ormai è anche il divo, il genio ribelle a cui si permette tutto, anche sbagliare e cadere in tentazione ripetutamente.
E da lì inevitabilmente, inizia un lento e inesorabile declino.
I Red Devils non raggiungono più i livelli degli anni passati e George diventa sempre più indisponente. Non si presenta agli allenamenti, frequenta Night club e soprattutto deve combattere con il nemico numero uno della sua vita, lo stesso che si era già portato via la madre a 55 anni: l’alcool.
«Il calcio era la mia unica ragione di vita. Quando ho smesso non c’era più nessun motivo che mi buttasse giù dal letto e che mi facesse smettere di bere. L’alcool era l’unico avversario che non ero riuscito a battere…».
L’allora allenatore, lo scozzese Thomas Docherty, stanco delle sue bravate e dei suoi ritardi, lo esclude definitivamente dalla squadra.
È il 1974: senza Best, il Manchester United retrocede tristemente in Second Division.
Poco più che ventottenne, Geordie è già un giocatore ai titoli di coda.
Inizia a girovagare per il mondo alla ricerca di nuovi contratti: Sud Africa, Irlanda, Scozia, poi di nuovo Inghilterra, infine Australia e Stati Uniti. Negli anni trascorsi negli States viveva in una casa sul mare, che però, come da sua stessa ammissione, non vide mai:
«Quando giocavo negli Stati Uniti abitavo in una casa vicino al mare, ma non sono mai riuscito a farmi una nuotata: lungo il tragitto c’era un bar!».
La sua vita fu piena di frasi celebri e aneddoti, uno di questi mostrò forse al Mondo tutta la sua fragilità.
«Sento spesso raccontare di quella volta in cui un cameriere mi consegnò dello champagne nella mia stanza, dove me ne stavo a letto con Mary Stavin e diverse migliaia di sterline vinte alle scommesse, e mi chiese: ‘Quand’è che le cose hanno iniziato ad andarti male, George?’ Anch’io ho raccontato questa storia più di una volta ed è sempre stata seguita da grasse risate. Ovviamente, tutto andò storto da allora. Da quando andò male con ciò che amavo di più al mondo, il calcio, allora il resto della mia vita si sgretolò. Quando il calcio era importante e io giocavo bene, non vedevo l’ora di alzarmi la mattina: era la mia unica ragione di vita. Quando ho smesso non c’era più nessun motivo che mi buttasse giù dal letto, non ho visto altri motivi validi per smettere di bere. Avevo bisogno sempre di bere, non riuscivo ad averne mai abbastanza. L’alcool era l’unico avversario che non ero riuscito a battere».
Ci lascerà il 25 Novembre del 2005, a 59 anni, proprio a causa di un’infezione epatica dovuta al suo alcolismo. Cinque giorni prima si congedò al pubblico per l’ultima volta lasciando un messaggio: ”Don’t die like me”, “Non morite come me”.
George Best è stato un uomo fragile, non un esempio da seguire fuori dal campo. Ma in quei cinque anni in cui è stato al top, è stato soprattutto uno dei calciatori più forti e decisivi mai visti.
E a me piace ricordarlo più per questo.