È probabilmente, al pari di Kaiser Franz Beckenbauer, il più famoso calciatore tedesco di tutti i tempi.
La sua incredibile longevità calcistica, che lo ha portato a calcare i campi di calcio fino a 40 anni suonati, gli ha permesso di raggiungere diversi record in carriera. Tra questi i più importanti sono sicuramente il “maggior numero di partecipazioni ad un campionato mondiale” (ben 5, 1982, 1986, 1990, 1994 e 1998, al pari soltanto di Gianluigi Buffon, Antonio Carbajal e Rafa Marquez), il “maggior numero di presenze nelle fasi finali dei mondiali” (25, tra cui due finali giocate ed una terza, quella del Mundial 1982, vista dalla tribuna), oltre che i quattro Europei disputati (1980, 1984, 1988, 2000), saltando quelli del 1992 e quello vincente del 1996, e il quasi irraggiungibile record di presenze con la nazionale tedesca (150 gettoni tra Germania Ovest e Germania).
Se parliamo dei trofei vinti poi, tra club e nazionale, la lista è ancora più lunga.
8 titoli nazionali (7 tedeschi e uno italiano), 6 coppe tedesche, 2 supercoppe nazionali (una in Germania ed una in Italia), 2 coppe UEFA, un campionato Europeo da giovane nel 1980 e una Coppa del Mondo, vinta da capitano nel 1990: sono 20 trofei totali, che ne fanno anche uno dei più vincenti tedeschi della storia.
Ma, come può accadere a chi arriva a giocarsi spesso trofei nazionali e internazionali, ha perso anche tante finali. Le più eclatanti sono sicuramente quella del mondiale messicano del 1986, persa contro l’Argentina di D10S Maradona, ma soprattutto quella di Champions League 1999 contro il Manchester United di sir Alex Ferguson, dove il suo Bayern conduceva in vantaggio per 1-0 a un minuto dalla fine. Poi la sua uscita dal campo, quasi come per ricevere una sorta di standing ovation alla carriera, il pari di Teddy Sheringham (al 91’) e il sorpasso di Ole Gunnar Solskjaer (al 92’) in un solo minuto, hanno trasformato la gioia in disperazione.
La tanto sognata quanto maledetta Champions League, l’unico trofeo importante mancante nel suo personale palmarès (che, ennesima beffa, il Bayern vincerà appena due stagioni dopo) addobbato persino da un memorabile Pallone d’Oro vinto nel 1990 dopo i vittoriosi mondiali italiani.
Lothar Matthäus è stato nel decennio “dorato” 1984 – 1994 il più forte e completo centrocampista del mondo, e prima e dopo comunque sempre un ottimo giocatore.
Diego Maradona, che ha avuto la “sfortuna” di incrociarlo spesso nei match decisivi tra club e nazionali, ammetterà come il tedesco sia stato “il miglior avversario che abbia avuto in tutta la mia carriera”.
C’è un video su Youtube che spiega bene a chi non l’ha visto giocare per ragioni anagrafiche come Matthäus sia stato un calciatore fantastico (mediano/playmaker/trequartista/libero, poteva giocare ovunque e sempre con lo stesso rendimento) oltre che tiratore infallibile. Metteva la palla dove voleva con una facilità di calcio e una potenza disarmante.
E poi abbinava dinamicità a tecnica, leadership a cattiveria agonistica…
Lothar Matthäus dominava.
Non risultava molto simpatico agli avversari, un po’ perché era poco propenso al dialogo e molto al “darsele”, e un po’ probabilmente perché i duelli in campo li vinceva quasi sempre lui.
Negli anni all’Inter, che lo acquistò prima della stagione 1988-89 dal Bayern Monaco per quasi 6 miliardi di lire, la consacrazione definitiva. Vinse da protagonista (segnò il gol decisivo nello scontro scudetto contro il Napoli di… Maradona) al suo primo anno lo “Scudetto dei record”, quello con Giovanni Trapattoni in panchina e dei 58 punti in 34 partite (record appunto per i campionati italiani a 18 squadre e 2 punti per vittoria), subito dopo Supercoppa italiana e Coppa UEFA.
Poi però nel 1992 un infortunio grave (rottura dei legamenti crociati del ginocchio) annesso a delle vicissitudini nella sua vita privata (fallì proprio in quel periodo il primo dei cinque matrimoni del tedesco), pregiudicarono il rapporto con la dirigenza interista oltre che la sua serenità professionale, tanto da chiedere la cessione al club italiano che, credendolo sulla via del tramonto, non oppose resistenza.
Così, dopo quattro stagioni, 153 presenze e 53 reti, a 31 anni Lothar Matthäus lasciò l’Inter per far ritorno al Bayern Monaco, dove allungherà invece sorprendentemente la sua carriera arretrando spesso come libero.
Chiuderà quarantenne negli USA, con i New York Metrostars e con il suo quinto Europeo, quello di Belgio e Olanda del 2000, la sua straordinaria carriera. E anche se la rassegna continentale sarà disastrosa per prestazioni e risultati, Lothar Matthäus rimarrà sempre per il calcio tedesco e mondiale Der Kapitän, il capitano di mille battaglie e della terza Coppa del mondo della storia teutonica.