L’A4 sembra un bagno turco. Ci si mescola la pianura padana: pioggia-non-pioggia (quella che ti colpisce da tutti i lati), smog autostradale e industria. Tutto converge dentro questo fiume di 4 corsie che scorre da Trieste per tutto il nord, fino a Torino. Uscire Grugliasco, immergersi nella nebbia più densa.
Ordine: siamo a Grugliasco, provincia di Torino, in quella che sembra una normalissima casa di provincia, al centro di una normalissima via di provincia, nel mezzo di una normalissima provincia del nord Italia. Il tempo fa schifo e noi stiamo per fare del gran rap.
Nello scantinato di questa casa normalissima eccetera, si nasconde lo studio di produzione di Giano, dove canta Vito, che poi sarebbe Shade, 7 dischi d’oro, un tot indefinito ma corposo di dischi di platino, un inverno a Sanremo e un’estate a romperci le balle con le caraffe di mojito, in radio.
Shade è qui che scrive delle rime e i cameraman sono qui che preparano le telecamere e io sono con Karim Barnabei che parliamo del rap che amava lui, quello milanese dei primi del 2000. Suonano il campanello. Riemergiamo dallo scantinato di Giano e c’affacciamo sulla pianura padana: il tempo fa ancora schifo ma almeno è arrivato Guglielmo, che poi sarebbe Willie Peyote, pronto ad uscire con il suo sesto disco, “ioDegradabile” (aggiornamento: è uscito il 25 ottobre e vale la pena dargli una possibilità).
Stiamo per girare la clip di Torino-Juventus, il 2 novembre su DAZN.
Shade è juventino. Anzi juventinissimo. Il suo smartphone è vestito di una cover bianco e nera, con nome e numero 7.
Willie è granata. Granatissimo. Uno dei suoi pezzi più famosi si chiama “Glik” e dice “restiamo hardcore come Kamil Glik”.
Appunto, hardcore. Sia Willie che Shade vengono dalla scena underground torinese (roba di graffiti, skate, parkour e rime in freestyle). Sono amici dal 2003. Hanno cantato insieme diverse volte, ai Murazzi, all’XO’ o al parchetto, ci raccontano. E oggi, noi, li mettiamo uno contro l’altro. A cantarsela.
Lo facciamo perché vogliamo un punto di vista diverso: perché siamo anche noi hardcore, siamo anche noi giovani, vogliamo anche noi che il calcio non sia solo politically correct dei calciatori a fine partita o polemichette da bar. Vogliamo testi in rima e prese in giro creative. Vogliamo il rap-game e vogliamo un dissing, come si dice. Vogliamo Toro-Juve e lo vogliamo così: con due rapper che combattono per le loro squadre, passandosi il microfono.
Loro intanto si abbracciano. Lo studio vi giuro che è minuscolo, quasi si sbatte la testa al soffitto.
“Non ti vedo da quando c’avevi 16 anni e sei rimasto uguale”, dice Willie a Shade.
“Erano anni che aspettavamo tutti che diventassi famoso e finalmente sta succedendo” gli risponde Shade.
E via così.
Poi si danno due schiaffi, prima con le mani e poi con gli sfottò. Uno prende in giro i “gobbi”, l’altro chiede quando il Toro tornerà a battere la Juve. Entrano in clima partita e lo fanno scaldando la voce.
“Ya, ya, ya”, colpo di tosse, “Yo”.
Noi accendiamo le telecamere e ci mettiamo di lato, curiosi, in attesa della battaglia.
Allora Giano schiaccia play. E, in un certo senso, sulla base a quattro quarti, inizia il derby.