Quanta vita per la Saeta Rubia gli inizi al River Plate, la “Lega Pirata” colombiana, la tripla nazionalità e la leggenda del grande Real.
Immaginate se un Messi, o un Maradona ventitreenne, nel pieno quindi della vigoria fisica e già riconosciuti come fuoriclassi a livello mondiale, scegliessero di andare a giocare per soldi in Arabia Saudita, in Qatar o in Cina invece che cercare la fama, la gloria (i soldi non mancherebbero comunque, chiariamolo) in Europa.
Ci sembrerebbe davvero una scelta incomprensibile probabilmente, se non quasi impossibile da compiersi adesso.
Ma Alfredo Di Stefano, già fuoriclasse acclamato in Argentina nel secondo dopoguerra, nonostante le tante offerte ricevute dall’Europa, scelse di andare a giocare in … Colombia.
Ma perché poi proprio in Colombia?
Perché lì era appena nato, dalla scissione di due istituzioni inizialmente affiliate come l’AdeFútbol e la DiMayor, uno dei più incredibili campionati-esperimento della storia del calcio: la “Lega Pirata”, l’El Dorado colombiano che avrebbe attirato a sé i più grandi talenti argentini del momento, spinti ad abbandonare l’Argentina anche per la questione della Huelga (lo sciopero che stava attraverso il calcio rioplatense), questo è bene ricordarlo.
Così dopo aver segnato la bellezza di ben 55 gol in appena due stagioni e mezza di River Plate, ed aver giocato (e vinto) con la nazionale argentina la Copa America 1947 (6 partite e 6 gol per lui), nell’estate del 1949 Don Alfredo parte per la Colombia senza dir nulla al proprio club, per accettare l’offerta esorbitante dei Los Millonarios de Bogotá del presidente Alfonso Senior, club nato appena tre anni prima dall’acquisizione dello stesso patron del Deportivo Municipal.
E visto che la FIFA non riconobbe quel campionato ‘pirata’, Di Stefano ma anche tanti altri talenti del calcio sudamericano e mondiale furono liberi di ‘scappare’ dai propri club di appartenenza poiché non affiliati alla massima istituzione mondiale di calcio.
Sì, il River Plate perse a zero il suo diamante.
E così i tanti appassionati cafeteros ebbero modo di ammirare le giocate del più forte giocatore al mondo in quegli anni e i sensazionali numeri lo dimostrarono.
Tra il 1949 e il 1952, la “Saeta rubia” trascina i Millonarios a tre titoli nazionali e per due volte si aggiudica la classifica marcatori (nel 1951 con 32 gol e nel 1952 con 19). Appena arrivato, nel 1949, la formazione di Bogotà vince 17 gare consecutive prima di imporsi in uno spareggio scudetto contro il Deportivo Calì. Nel 1951 il club di Bogotá segnò 98 gol in 34 partite, vincendone 28.
Da lì i Millonarios vengono definiti “ballet azul” (balletto azzurro, come il colore delle loro maglie) per la bellezza del loro gioco mostrato in campo.
Di Stefano avrà persino modo di giocare due gare amichevoli non riconosciute con la nazionale colombiana, osteggiata e non riconosciuta ufficialmente dalla FIFA ai tempi per i motivi sopraindicati.
I Los Millonarios ormai erano conosciuti in tutto il Sud America, ma anche in Europa iniziavano a sentir parlare di questa meravigliosa squadra guidata da un super giocatore argentino.
E dopo aver contribuito ad istituire la famosa Pequena Copa del Mundo de clubes (antesignana del mondiale per club, andata avanti fino al 1975) dove poter mostrare la propria superiorità anche al resto del mondo, inizia anche un tour di amichevoli in stile “gala di stelle”, per esibire tutti i propri campioni.
Così il Real Madrid dell’allora patron Santiago Bernabeu, che cercava un club sudamericano per festeggiare i cinquant’anni dalla fondazione, scelsero di invitare i Millonarios, con gli svedesi del Norrköping, a giocare un torneo nella capitale spagnola.
Le “nozze d’oro” madridiste saranno un’umiliazione tremenda per i blancos e il presidente Bernabeu si innamora in men che in un istante della “Saeta rubia”.
30 marzo 1952, Estadio de Chamartín (sì, l’odierno Bernabeu) completamente esaurito.
Il Real Madrid, nonostante riconosca il buon potenziale avversario, pensa comunque di imporre il proprio gioco e vincere agevolmente contro di loro. Bernabeu pregusta già la passerella dopo una bella vittoria per festeggiare lo storico compleanno come si deve.
I Los Millonarios travolgono 4-2 il Real Madrid, evitando ai madridisti persino un passivo peggiore, sbeffeggiandoli con un possesso palla vistoso.
E Alfredo Di Stefano? Sarà un tormento per tutta la partita.
Firma una fantastica doppietta, lasciando a bocca aperta il presidentissimo madrileno che da quel giorno avrà un solo pallino nella sua testa: portarlo al Real Madrid.
Qualche mese più tardi, quando sembrava ormai fatto il passaggio al Barcellona di Don Alfredo (che aveva bruciato sul tempo i rivali della capitale), la federcalcio spagnola blocca incredibilmente il trasferimento, appigliandosi a degli strani cavilli contrattuali.
Barcellona e Real Madrid danno vita ad una vera e propria battaglia legale, che si risolve inizialmente con un pari e patta: la federcalcio propone tre stagioni al Barcellona e tre al Real, senza andare contro nessuno. La cosa incredibile è che i vertici dei due club accettano.
Ma come si può far andare tutto liscio con questa scelta? Meglio prenderlo prima o meglio dopo? E se poi si fa male? Nel Barcellona soprattutto si viene a creare un terremoto interno che porta la società a sfaldarsi e il presidente a dimettersi.
E qui che subentra ancora una volta quella volpe di Bernabeu, che propone al Barcellona una cifra spropositata per convincerli a lasciare l’asso argentino direttamente a lui, quasi 7 milioni di pesetas, sapendo che i confusi e vulnerabili dirigenti catalani non possono mai rifiutare. Così sarà.
Di Stefano era ufficialmente un giocatore del Real Madrid.
Prima del suo arrivo, il club della capitale spagnola non era né il più grande club del Paese, né il più grande della città: non aveva una grande tradizione calcistica, vantava solo due campionati, mentre il Barcellona e i cugini dell’Atletico Madrid erano rispettivamente a sei e a quattro.
L’acquisto della Saeta rubia cambierà per sempre la storia del club reale e del calcio spagnolo.
Nelle successive undici stagioni saranno 8 i campionati spagnoli vinti, 5 le Coppe Campioni, 2 le Coppe Latine, una coppa Intercontinentale, una coppa di Spagna, 5 titoli di “Pichichi” (titolo di capocannonieri ne la Liga) e due i Palloni d’oro, vinti nel 1957 e nel 1959, quando Don Alfredo aveva anche iniziato a giocare per la terza e definitiva nazionale calcistica della sua carriera, la Spagna, venendo così naturalizzato.
Questa è l’incredibile storia di uno dei più grandi calciatori di sempre.
«In molti discutono su chi sia stato il più forte di tutti i tempi tra Pelé e Maradona. Siamo stati sicuramente due grandi del calcio, ma per me il migliore è stato senza dubbio Alfredo Di Stefano».
E se lo dice Pelé…