Descrivere che giocatore è stato non è affatto semplice, perché nessuna parola può spiegare ciò che è stato emotivamente negli anni novanta per i tifosi viola e per gli appassionati di calcio Gabriel Omar Batistuta.
E’ stato per anni guida e capitano, bomber e condottiero, leader e trascinatore in quella che sarà la sua seconda casa, Firenze, oltre che il “nueve” di riferimento della nazionale argentina degli anni novanta.
La sua storia iniziale è tutta “sudamericana”: l’aneddoto del suo approdo in Italia è davvero divertente.
Il suo procuratore, Settimìo Aloisio, gli lancia una sfida poco prima della Copa America 1992, dove Gabriel è convocato a 22 anni:
«Se vuoi andare in Italia devi segnare almeno sei gol. Fallo e io ti porto lì».
La Seleccion di Alfio Basile arriva in Cile, sede del torneo, non da favorita e Bati conquista a sorpresa subito un posto tra i titolari.
Parte sin dalla prima gara forte, segnando due gol al debutto contro il Venezuela. Poi la sfida contro i padroni di casa dove, a dieci minuti dalla fine, realizza il gol decisivo.
Bati va a segno anche contro il Paraguay e contro il Brasile: e siamo a cinque. L’atto finale è contro la Colombia.
L’Argentina vince 2 a 1 e Batistuta realizza il gol decisivo. Sei centri, primo posto nella classifica marcatori (davanti a Zamorano, 5 gol) e Coppa America alzata al cielo, la tredicesima per l’albiceleste.
La sfida è vinta e Batistuta reclamerà al suo agente la promessa fatta.
“Ti ho già preparato il contratto, sapevo già come andava a finire”. Gli risponderà quel vecchio marpione di Aloisio. L’aveva già venduto giorni prima alla Fiorentina della famiglia Cecchi Gori a sua insaputa. A quanto pare voleva solo stimolarlo, e l’esperimento era riuscito perfettamente.
Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Batistuta inizia nel Newell’s Old Boys, dove conoscerà Marcelo Bielsa. Una figura che avrà un ruolo decisivo nella sua carriera. “El Loco” è uno che si fa sentire, è un duro.
«Dopo venti giorni d’allenamento una volta rientrando negli spogliatoi pensai che per colpa sua non avrei fatto il calciatore. Invece fu l’esatto contrario»
Racconterà poi Bati ridendosela.
Ma all’epoca non rideva affatto, probabilmente non aveva tempo.
Lavoro, lavoro e lavoro. In campo “El Loco” lo massacra, mentre fuori dal campo gli impone una dieta ferrea. La ricetta funziona. Batistuta, diciannovenne, comincia a trasformarsi.
E proprio lui stesso racconterà di quando Bielsa, un giorno, si presenterà nella sua camera con dei biscotti, come a dire: “Ok Gabri, il primo esame lo hai superato”.
Grazie alla scuola Bielsana nel Newell’s segna a raffica e le sirene dei grandi club chiamano. A scommettere su di lui è il River Plate. L’allenatore Merlo gli concede da subito fiducia e Gabriel lo ripaga con un inizio campionato importante. Ma dopo pochi mesi cambia tutto. Daniel Passarella diventa il nuovo allenatore del River e, nel primo allenamento, nel gennaio del ’90, Batistuta si ritrova subito tra le riserve.
Messo fuori senza un perché.
“Una ferita che non si è mai rimarginata” dirà a proposito di quel periodo.
Il divorzio è inevitabile. Un gioco di prestigio del suo procuratore Settimio Aloisio (che acquista la metà del suo cartellino) permette a Batigol di trasferirsi nel Boca Juniors, la storica rivale del River.
Dall’inferno, al paradiso. E andrà tutto alla grande. Come in un film di rivincita, Batigol si ritrova a segnare una storica doppietta in Coppa Libertadores al Monumental contro il suo vecchio River: dopo ogni rete guarda fisso verso la panchina avversaria, verso il suo “nemico” Passarella.
Una dolce vendetta, quello che aveva sognato si era avverato. È qui che arriverà quella Copa America di cui vi ho parlato precedentemente e che gli varranno l’approdo in Europa, alla Fiorentina.
L’inizio nel vecchio continente è faticoso, poiché non riesce a guadagnarsi subito un posto da titolare. Sia con Lazaroni prima che con Radice poi lin panchina a situazione non cambia di molto. Riserva era prima, riserva resta.
Ma nell’anno nuovo arriva la svolta. Il 26 febbraio 1992 sbarca allo stadio Franchi la Juventus. Per i tifosi viola è “la partita».
Bati gioca e va a segno con un colpo di testa: sara la rete spartiacque, la fine di un incubo. Da lì a fine campionato saranno tredici i centri, e i presupposti per fare un buon campionato la stagione seguente ci sono tutti.
Si riparte e il presidente Mario Cecchì Gori fa le cose in grande. Arrivano Baiano, Brian Laudrup, Effenberg. La squadra viola sogna di inserirsi in zona scudetto… Invece sprofonda in serie B.
La società prova a rimediare in tutti i modi, cambia ben tre allenatori. Ma va sempre peggio. Batistuta chiude il torneo con 16 reti. Cifre importanti. Tutto inutile.
Sarà retrocessione.
Il Real Madrid tenta l’affondo visto il momento, ma lui dimostra l’uomo che è, lui non è uno che fugge davanti alle difficoltà.
«C’era un’immagine che dovevo cancellare dai miei occhi: il vecchio presidente Mario Cecchi Gori costretto a lasciare lo stadio dentro un cellulare della polizia. Volevo troppo bene al presidente. Aveva investito nella Fiorentina tanti soldi e tanta passione. Non potevo lasciare la squadra in serie B».
Bati decide di restare. In panchina arriva Ranieri che lega subito con il fuoriclasse argentino.
La promozione arriva domenica 8 maggio 1994: Fiorentina-Ascoli 5 a 1, due gol di Gabriel. La promessa è mantenuta: Bati ha riportato la squadra in serie A e il primo pensiero è per Mario Cecchi Gori, scomparso a novembre per un attacco cardiaco.
«Voleva bene alla Fiorentina e non doveva morire con la sua squadra in serie B. La vita, a volte, è ingiusta».
Prende in mano la Fiorentina il figlio Vittorio, che dopo annate di folle gestione condite anche da stagioni esaltanti come il terzo posto con Trapattoni, dopo aver chiuso il girone d’andata in testa, porterà la Fiorentina ad un triste fallimento.
Il Re Leone in questi anni darà il meglio di sé, segnando caterve di gol e portando la Viola a risultati prestigiosi in Europa con Barcellona, Arsenal e Manchester United, ma purtroppo il declino del club è ormai prossimo.
Batistuta viene venduto alla Roma per la cifra incredibile di 70 miliardi.
Il Re Leone nella capitale crea subito un feeling perfetto con Totti. Il campione di Reconquista segna 20 reti e la Roma conquista il suo terzo incredibile scudetto. Bati è entrato a pieno titolo nella storia del calcio italiano.
Le sue caviglie martoriate e deteriorate però lo affliggono continuamente, tanto da portarlo a lasciare Roma a 33 anni. Poco dopo sarà la volta del calcio giocato. Le sue parole a riguardo, in un’intervista di qualche anno dopo, lasceranno tutti di sasso.
“Quando ho smesso di giocare a calcio ho sofferto moltissimo. Non riuscivo a camminare e per un mese, pur avendo il bagno a 10 metri, urinavo a letto perché non avevo la forza di alzarmi, così chiesi al mio medico di amputarmi le gambe, non ce la facevo più.”
Finirà in Qatar (dopo una breve e triste parentesi all’Inter) una carriera forse con pochi titoli, ma con tanti gol, tanta fama e tanto onore.
In nazionale vincerà due Coppe America e una Confederations Cup, ed è a tutt’oggi, il secondo miglior marcatore dell’Argentina con 56 reti, dietro solo a Messi e davanti a nientemeno che Maradona, che di lui dirà:
“Il Biondo è un grande. E’ un animale, un animale che, come dico sempre, grazie a Dio è argentino. Pensa che se non avessimo fatto il putiferio che abbiamo fatto tutti noi che lo volevamo, Quel loco di Passarella non l’avrebbe neanche portato ai Mondiali.”
Batistuta è stato un giocatore straordinario, amato e rispettato da tutti e diventato leggenda a Firenze.
Nel 2000, in occasione di una vittoria della Roma contro la “sua” Fiorentina, dopo aver segnato il gol della vittoria non esulta, scoppiando poi in lacrime mentre riceveva gli abbracci dei compagni.
A dimostrazione che oltre che ad un grande campione, eravamo di fronte ad un uomo di grande spessore: Gabriel Omar Batistuta.