Dario Hubner non aveva categoria

    Hubner
    Hubner

    Storia di un bomber dilettante diventato re in serie A. C’era una volta Darione Hubner…

    In molti pensano che se fosse arrivato un po’ prima nella massima serie, magari avrebbe fatto tutt’altra carriera. Chissà.

    Ma arrivare in serie A solamente a 30 anni non gli ha precluso la possibilità di diventare uno dei centravanti più amati in Italia. Perché la sua è una di quelle storie che danno speranza a tutti quei ragazzi che giocano nei dilettanti e che sperano di diventare professionisti un giorno. «Sono contento di essere stato e di essere ancora un esempio e una speranza per tutti quei ragazzi che come me stanno iniziando nei campionati minori…».

    L’umiltà è sempre stata la caratteristica che lo ha contraddistinto in tutta la sua carriera. Sarà che lui le categorie le ha praticamente “assaggiate” tutte.  «Io non dimentico che a 20 anni giocavo in Prima Categoria alla Muggesana e mi guadagnavo da vivere facendo il fabbro: se la Pievigina non mi avesse offerto una chance in Interregionale non sarei mai diventato un calciatore professionista e forse avrei fatto l’operaio per tutta la vita»…

    Dario Hubner, con Igor Protti, è l’unico giocatore ad essere stato capocannoniere in Serie A, B e C (ci è riuscito con le maglie di Fano, Cesena e Piacenza). Ha segnato oltre 300 gol durante l’intera carriera, ma nonostante ciò, non è mai riuscito a guadagnarsi la maglia della Nazionale italiana.  «Il mio unico rimpianto… L’unica cosa che mi è mancata è assaggiare l’Azzurro. A quei tempi, con quei giocatori, mi sarebbe bastata un’amichevole. Mica i Mondiali, per quelli non chiamarono nemmeno Roby. Sapevo che davanti a me c’erano tanti attaccanti più bravi. Però una presenza ci avrei tenuto a farla…». E se la sarebbe sicuramente meritata.

    A Brescia e Piacenza le sue annate migliori.

    «L’esperienza di Brescia è stata la più bella. Ricordo quando portai in vantaggio la mia squadra a San Siro contro l’Inter e c’erano ottantamila persone in silenzio… Poi si è svegliato il Chino Recoba e vabbé, l’Inter vinse 2-1. Ma la soddisfazione resta… »

    Ma nonostante quell’inizio di stagione, dove segnò contro l’Inter, nel giorno dell’esordio di Ronaldo il fenomeno, e altre reti in successione come la tripletta alla Samp nella seconda giornata, Hubner non riesce purtroppo a evitare la retrocessione del suo Brescia. Una volta riottenuta la massima serie però, il presidente Corioni festeggiò la promozione regalando alla piazza due acquisti da novanta: uno in panchina, Carlo Mazzone, l’altra in campo, Roberto Baggio.

    «All’inizio pensavamo fosse uno scherzo. Poi dopo tre giorni arrivò. Mi emozionai davvero tanto: giocare con Roberto Baggio era un sogno…».

    Si creò un binomio perfetto: l’abnegazione della squadra che aveva ottenuto la serie A e le meravigliose giocate di Baggio. Quella stagione sarà la migliore nella storia delle rondinelle e il “Bisonte” segnerà 17 reti.

    Corioni arriva perfino a dire: «Senza grappa e sigarette, Dario Hubner sarebbe il più forte di tutti».

    Poi però il Brescia lo crede finito e lo lascia andare, e Tatanka, nonostante proposte dall’estero molto più remunerative, sceglie sorprendentemente Piacenza, che per lui, oramai trentaquattrenne, spenderà 6 miliardi di lire.

    «Perché Piacenza? Semplice, abito vicino a Crema: da casa mia a Brescia ci sono 40 chilometri, da Piacenza invece soltanto 30. Così, finito l’allenamento, faccio prima a tornare».

    E sarà lì che nella stagione 2001-2002 conquista incredibilmente il titolo di capocannoniere con 24 reti, a pari merito con un mostro sacro come David Trezeguet, contribuendo anche ad una storica salvezza: all’età di trentacinque anni è, al tempo, il più anziano giocatore capace di vincere la classifica marcatori della Serie A, un record che gli sarà poi strappato nel 2015 dal trentottenne Luca Toni.

    «A Piacenza ho trovato una squadra che giocava per me. Non mi sentivo a mio agio: di più».

    Poi, dopo alcune parentesi non proprio positive come Ancona e Perugia in serie A e Mantova in C1, la sua carriera finirà sui campi di periferia di Cavenago, a 44 anni suonati.

    Questa è la romantica storia di un “Bisonte” un po’ italiano e un po’ tedesco (il nonno era di Francoforte), che forse avrebbe potuto fare di più, ma che anche così, rimane uno dei “Bomber di periferia” più amati in Italia.