Quando Arsene Wenger chiese un periodo di prova, per poterlo visionare meglio, rispose: “No. Zlatan non fa provini.”
O quando John Carew in un’intervista parlò di Ibrahimovic come uno “tutto fumo e niente arrosto”, la sua risposta fu: “Quello che John Carew può fare con un pallone, Zlatan può farlo con un’arancia.”
O quella volta in cui parlò, come racconta Ancelotti nel suo libro “Preferisco la coppa”, ad un giovane del PSG, che secondo lui non si stava allenando bene. “Un giorno, sul campo di allenamento, uno dei giovani giocatori non aveva dato del suo meglio nella sessione. Così alla fine della seduta, Ibra ha chiamato questo ragazzo e gli ha detto: ‘Ora devi andare a casa e scrivere nel tuo diario che ti sei allenato con Zlatan oggi, perché potrebbe essere l’ultima volta che lo fai’…”.
Ibra è Ibra, ovvio. Prendere o lasciare.
Sì perché Zlatan, nell’arco di tutti questi anni, ha voluto sempre mettere le cose in chiaro con noi comuni mortali quando ce n’è stata occasione. Lui è più di un semplice giocatore, più di un semplice campione, più di un semplice re.
Lui è il “Supremo”.
In un’intervista un giornalista gli domanderà: «Chi andrà al Mondiale tra la Svezia e il Portogallo?»
Ibra risponderà: «Solo Dio sa.»
Il giornalista allora sottolineò: «È un po’ difficile chiedere a lui…»
E Zlatan, pacatamente e con fare evangelico: «Perché? Ce l’hai davanti…».
Anche il suo compagno al PSG, Marco Verratti, racconterà un altro umile aneddoto di Zlatan Ibrahimovic con mister Carlo Ancelotti, prima di un match: “Prima della sfida decisiva per il titolo con il Lione, Ancelotti era un po’ nervoso. Così Ibra gli si avvicinò e gli fece: “Credi in Dio?” – “Sì” – “Allora credi in me, rilassati…”
Onestamente, come fai a non amare uno così?
Se ci mettiamo poi che, ad oggi, dopo esser cresciuto in Svezia nel Malmö, ha giocato nelle più grandi squadre d’Europa come Ajax, Juventus, Inter, Milan, Barcellona e Manchester United, segnato 533 gol (300 dopo i trent’anni) fra club e Nazionali, e vinto 32 titoli totali, beh, qualcosa di divino, dovremmo pur riconoscerglielo.
Dall’infanzia travagliata di Rosengärd, dove si dilettava nel rubare bici ed esplodere petardi nei chioschi dei Kebab, agli innumerevoli successi in giro per l’Europa.
Dai meravigliosi gol d’autore con la Svezia (celebri il tacco all’Italia ad Euro 2004, e il gol in rovesciata all’Inghilterra nel 2012, che gli valse il premio Puskas per il gol più bello dell’anno) alle sue storiche frasi ad effetto, rigorosamente in terza persona.
Fino agli Stati Uniti, in quella Major League dove a 37 anni continua a segnare a raffica senza nemmeno sudare.
Una storia coinvolgente, divertente, appassionante… Divina: l’incredibile storia di Zlatan Ibrahimovic.