Il bello del calcio è che, per quanto sia stato radicalmente trasformato e sia diventato un vero e proprio comparto economico, la sua anima non potrà mai cambiare.
Il calcio è uno sport in cui entrano in gioco le anime, le storie. Storie di eroi che oltrepassano i confini del tempo, che lasciano un marchio indelebile, anche a distanza di decenni. Sì, il calcio, in fondo, è semplicemente un modo per continuare a raccontarci delle storie. Delle bellissime storie di eroi del passato, come quella di Gunnar Nordahl, per esempio.
Nato in Svezia il 19 ottobre del 1921, Nordahl comincia a giocare a calcio un po’ per caso, ovviamente per divertimento. Anche perché, all’epoca, non giravano certo tutti i soldi che girano adesso, naturalmente. All’età di 16 anni comincia a giocare con la squadra della sua città, dividendosi comunque con il lavoro in fonderia.
La prima avventura nel calcio vero è con il Degerfors, nel 1940, proprio mentre il resto d’Europa comincia a precipitare nella Seconda Guerra Mondiale. Qui, Nordahl comincia a fare quello che gli riesce meglio e che gli riuscirà in tutta la sua carriera: dopo 56 gol messi a segno in quattro anni, arriva la chiamata di una delle “grandi” del calcio svedese, il Norrköping.
A volerlo al suo fianco è l’allenatore Lajos Czeizler, una persona che ritroveremo più in là in questa storia. Nordahl, nel frattempo, continua a imporsi a suon di gol. È un attaccante dal fisico importante, che fa della potenza fisica il suo punto di forza; marcarlo comincia a diventare difficile, e le difese, al suo cospetto, ormai cominciano a tremare.
Saranno quattro (più un’altra a metà) le stagioni al Norrköping, terminate con una media gol da paura, 93 gol in 95 incontri. Dicevamo, era un calcio diverso, lontano dalla globalizzazione che adesso è la normalità per noi. Eppure, anche in quel mondo che si avvicinava a grandi passi agli anni ’50, le voci cominciano a correre. E per Gunnar Nordahl stanno per spalancarsi le porte del grande calcio.
Le storie del pallone, a volte, sono fatte anche di coincidenze: succede, infatti, che nel gennaio del 1949 la Juventus abbia praticamente già messo le mani su Nordahl. I bianconeri, però, avevano già soffiato al Milan un altro calciatore, il danese Johannes Ploger, e quindi decidono di farsi da parte e lasciare lo svedese ai rossoneri. Sarà l’inizio di un’avventura che porterà Nordahl e il Milan negli almanacchi di storia.
Lo svedese, nella stagione successiva, riabbraccia il suo vecchio allenatore, Lajos Czeizler, e trova altri due connazionali, Liedholm e Gren. Nasce il mitologico trio d’attacco Gre-No-Li, e il Milan comincia a diventare grande.
Chi grandissimo lo diventa è proprio Nordahl, che continua a segnare gol a grappoli. 35 nella stagione 1949-50 (record superato solo in epoca recente da Higuain e Immobile), 34 nella stagione 1950-51, 26 per i due anni successivi, poi 23, 27 e di nuovo 23. Il bilancio dell’avventura di Nordahl con la maglia rossonera è eclatante. 221 gol in 268 partite, cinque titoli di capocannoniere (ancora oggi record assoluto) e due scudetti, nel 1951 e nel 1956.
Nordahl è ormai nella leggenda. Conclude la sua carriera italiana giocando due stagioni nella Roma, poi gioca gli ultimi scampoli del suo percorso in patria. La nazionale svedese, dopo il suo approdo in Italia, non lo aveva più convocato, e così il suo score con la maglia della rappresentativa della Svezia si “ferma” a 43 gol in 33 partite. Sì, avete letto bene, non abbiamo invertito le cifre.
Intraprende la carriera da allenatore, rimanendo in panchina fino al 1980. Curiosamente, il suo destino si intreccia con l’Italia fino all’ultimo. Nordahl morirà infatti nel 1995, ad Alghero, dove stava trascorrendo le vacanze estive. Forse, il modo in cui il destino aveva deciso di legare per sempre questo eroico centravanti al nostro Paese.