Sul finire degli anni ’90 il calcio, in Italia, sta vivendo uno dei periodi di massimo splendore, inteso come competitività del torneo e numero di squadre che possono ambire alla vittoria del campionato o comunque ad un piazzamento prestigioso.
Tra queste c’è indubbiamente la Roma che all’inizio della stagione ’98-’99 è allenata dal tecnico Boemo Zdenek Zeman ed è alla disperata ricerca di un attaccante in grado di sostituire il partente Abel Balbo, che ha salutato la Capitale in direzione Parma.
Si fanno tanti nomi anche perché le richieste dell’allenatore, uno a cui piace giocare in maniera spregiudicata e tremendamente offensiva, sono piuttosto importanti; tra quelli che circolano più insistentemente citiamo Trezeguet e Shevchenko, solo per darvi un’idea.
Inutile dirvi che nessuno di questi arriverà perché la società decide di puntare sulla carta a sorpresa: un attaccante alla sua prima esperienza europea proveniente dall’Argentina.
Il suo nome è Gustavo Bartelt, centravanti del Lanus che nella sua ultima stagione in patria ha realizzato 13 reti in 18 partite segnalandosi come ottimo prospetto da seguire.
I giallorossi decidono di anticipare la concorrenza mettendo sul piatto 13 miliardi di lire, un’offerta che il club argentino non può rifiutare.
Come tutti i Sudamericani che si rispettino arriva con un soprannome che lo precede: “El Facha”, il bello. Capelli biondi al vento tenuti indietro da una fascetta, un look che ricorda molto da vicino quello di Paul Caniggia, transitato da Roma qualche anno prima.
La prima occasione per vederlo all’opera è la partita di presentazione contro il Santos, per quel che può valere una partita del genere, sia chiaro. Bartelt comunque realizza due reti che fanno da preludio ad un precampionato positivo.
Anche l’esordio in una competizione ufficiale, nella fattispecie la Coppa Italia, è ottimo: l’attaccante argentino segna il gol che da il via alla rimonta della sua squadra contro il Chievo; le premesse per un buon avvio di campionato ci sono tutte.
Zeman però sembra tutt’altro che convinto del valore del giocatore e in più di un’occasione ripete che il precampionato è una cosa, la stagione un’altra. Nelle prime due giornate gioca rispettivamente 55 e 21 minuti, contro Salernitana ed Empoli, mentre contro il Venezia non si alza dalla panchina. Ancora peggio andrà nel turno successivo, quando la Roma è impegnata contro la Samp e lui non è nemmeno convocato.
Qualcosa però sta per accadere: è il 17 Ottobre 1998 e il calendario mette di fronte Roma e Fiorentina, una sfida sentitissima da parte di entrambe le squadre e rispettive tifoserie. La Viola, allenata da Trapattoni, può contare su campioni del calibro di Batistuta e Rui Costa e viene da un filotto di vittorie nelle prime giornate. La Roma è alla ricerca di un’identità definita, imprevedibile come solo le squadre di Zeman possono essere.
La Fiorentina passa in vantaggio al 32’ con Batigol, la partita è tesa e nel secondo tempo, nel giro di 5 minuti, vengono espulsi prima Di Biagio e poco dopo Candela insieme a Falcone. Si gioca in 9 contro 10 quando Zeman, al 78’, decide di buttare nella mischia Gustavo Bartelt, in quella che ha tutta l’aria di essere la classica mossa della disperazione.
Qualche volta però i miracoli accadono e Bartelt, in quel quarto d’ora, assume le sembianze di un extraterrestre, seminando scompiglio in lungo e in largo. Chi lo vede per la prima volta non può fare a meno di chiedersi cosa ci faccia in panchina un fenomeno del genere.
“El facha” semina avversari, lascia sul posto i difensori, slalomeggia in ogni parte del campo e ben presto le sue giocate si rivelano decisive. Il pareggio di Alenichev arriva all’89’ dopo una finta con dribbling ubriacante dell’argentino che serve un pallone in mezzo solo da spingere in rete.
Passa un minuto e ancora Bartelt si prende il proscenio: prima il suo tiro viene respinto da un difensore poi è Francesco Toldo, con il piede, a negargli la gioia del gol. La respinta dell’estremo difensore viola, però, finisce sul piede del suo omonimo, che di cognome fa Totti, il quale deve solo gonfiare la rete e correre ad esultare. La rimonta è servita.
A fine partita le telecamere riprendono Bartelt che scambia la maglia con Batistuta, il suo idolo. Sembra finalmente arrivato il momento giusto per dimostrare a tutti il proprio valore, i giornali lo celebrano e ne esaltano le qualità ma il tecnico giallorosso, a differenza dell’ambiente che lo circonda, non si lascia travolgere dall’entusiasmo.
Contro il Milan, nella partita successiva, gli concede solo altri 10 minuti dopo i quali Bartelt sparisce quasi del tutto dai radar.
Gioca solo qualche altro scampolo di partita in tutto il campionato, il maggior minutaggio che Zeman gli concede sono i 13 minuti in occasione della sfida di ritorno proprio contro la Fiorentina, chissà, forse nella speranza che ripeta l’exploit della partita di andata, cosa che ovviamente non avviene.
La società ed il tecnico lo escludono completamente dal progetto tecnico e all’attaccante argentino non resta altro da fare che attendere tempi migliori. Nemmeno l’arrivo di Fabio Capello in panchina, nella stagione successiva, cambia le carte in tavola e anzi, se possibile, le cose vanno ancora peggio.
In tutta la seconda stagione racimola la miseria di 17 minuti: 6 contro la Reggina, 8 contro il Bologna e 3 con il Bari. Per il resto è tribuna o, quando le cose vanno particolarmente bene, panchina.
È ormai palese che a Roma per lui non c’è più spazio, ammesso che ce ne sia mai stato. Passa in prestito prima all’Aston Villa e poi al Rayo Vallecano ma nemmeno qui riesce a lasciare il segno.
Il peggio, però, deve ancora arrivare in quanto nel 2001 Bartelt viene travolto dallo scandalo dei passaporti falsi e costretto ad uno stop di 2 anni. Il giocatore cerca supporto dal club che però, a suo dire, lo ignora a più riprese dimostrando pochissimo interesse nei suoi confronti. Al termine della vicenda torna in patria ma la sua carriera è sostanzialmente al capolinea.
Di Gustavo Bartelt negli almanacchi di storia del calcio rimangono pochissimi ricordi, quanti i gol realizzati in carriera, mentre nella testa dei tifosi romanisti ci sarà sempre un angolo recondito riservato all’argentino con la faccia d’angelo, in cui custodire quei pochi minuti di onnipotenza calcistica contro la Fiorentina.