Hiroshi Nanami, un giapponese a Venezia

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    Nell’estate del 1998 il Presidente del Perugia Luciano Gaucci portò in Italia il centrocampista giapponese Hidetoshi Nakata, tra lo scetticismo generale.

    Tifosi e opinione pubblica erano abituati a quelle che sembravano operazioni eccentriche da parte del patron degli umbri, e, in un primo momento, si convinsero a catalogare quella mossa come una di quelle cose folkloristiche che avevano visto già in passato.

    Invece, in maniera abbastanza sorprendente, Hidetoshi Nakata si rivelò un magnifico giocatore di calcio, un vero e proprio artista del pallone che nella sua prima stagione in Serie A incantò tutti, sia con la sfera tra i piedi che fuori dal campo, per il suo carattere singolare e decisamente fuori dai canoni che erano attribuiti ai calciatori. A Perugia le tribune del Curi si riempivano ogni domenica di curiosi che venivano dalla terra del Sol Levante per ammirare il loro connazionale, mentre Gaucci, nel suo box presidenziale, gongolava.

    A quel punto, dopo il successo dell’operazione Nakata, la strada era spianata, e l’idea di ripeterla cominciò a balenare in testa a molti.

    Tra quei molti c’era, manco a dirlo, anche il presidente del Venezia Maurizio Zamparini, che fiutò l’occasione e provò immediatamente a replicarla. Così, dopo mesi di studio e di lavoro degli scout, nell’estate del 1999, esattamente un anno dopo l’arrivo di Nakata, gli arancioneroverdi presentarono il loro colpo con gli occhi a mandorla: Hiroshi Nanami, che, per un curioso caso del destino (o forse non solo per quello, chi può dirlo?) si portava appresso anche le stesse iniziali del suo illustre connazionale.

    Nanami arrivò in Italia in prestito con diritto di riscatto, dopo le buone prestazioni in patria con la maglia del Jubilo Iwata. Di lui tutti dicevano un gran bene, in molti parlavano di lui come uno dei migliori centrocampisti che il calcio giapponese, in quegli anni in grande crescita, avesse prodotto. Visione di gioco, capacità di comprensione delle dinamiche della squadra, intuizione e illuminazione per l’ultimo passaggio per i compagni.

    Insomma, a stare a sentire le cronache dell’epoca, quello di Nanami non doveva essere solo un colpo ad effetto, una mera imitazione dell’affare Nakata. Quello era un giocatore vero, pronto a dimostrare di esserlo in una Serie A sempre più competitiva.

    Nanami fece il suo esordio nel nostro campionato il 29 agosto del 1999 al Penzo contro l’Udinese, subentrando al 59′ al posto di Fabian Valtolina. Mister Spalletti dimostrò di avere fiducia nelle sue doti, facendolo esordire qualche settimana più tardi dal primo minuto contro la Roma. Eppure, le prestazioni del giapponese non sembravano all’altezza delle aspettative. Certo, non era facile, arrivare in un campionato difficile e competitivo come la Serie A, in una squadra che lottava per non retrocedere.

    Nanami continuava a provarci, cercava la sua collocazione in campo, ma le cose non giravano mai come avrebbero dovuto. Il suo primo gol in Italia arrivò il 28 ottobre del 1999, in Coppa Italia, contro il Pescara. Una punizione decisiva per passare il turno, allo scadere, un lampo di classe che rimase però isolato.

    Il centrocampista nipponico chiuse la sua prima stagione in Serie A con 24 presenze e 1 solo gol segnato, quello contro l’Udinese nel gennaio del 2000, in una sconfitta per 5-2.

    A fine stagione, con la retrocessione degli arancioneroverdi, le strade di Nanami e del Venezia si separarono. Lui tornò in Giappone, dove concluse la sua onesta carriera con le maglie di Jubilo Iwata, Cerezo Osaka e Tokyo Verdy, prima di ritirarsi nel 2009.

    Di lui, a Venezia, resta comunque un ricordo dolce, di quelli che ti fanno pensare al passato con una punta di malinconia, di quelli che ti fanno capire perché il calcio è più un modo per segnare le nostre vite che un semplice giochino.