Mancini è stato uno di quei giocatori considerati “enfant prodige” sin da ragazzini e che hanno poi mantenuto le aspettative dell’adolescenza.
Esordisce a 16 anni in serie A grazie a Tarcisio Burgnich, allora allenatore del Bologna, che lo lancia tra i grandi contro il Cagliari.
Un mese dopo segna il suo primo gol contro il Como: Roberto Mancini è già sul taccuino della maggior parte dei club italiani, la nuova speranza del calcio italiano.
Nel 1982 il presidente della Sampdoria Mantovani, folgorato dal giovane jesino, fa un’offerta folle per portarlo a Genova: due miliardi e mezzo!
Sembra una pazzia, invece… Si inizia a formare pian piano una grande Samp, l’epopea del grande Vujadin Boskov e dei gemelli del gol “Vialli-Mancini” è ormai prossima.
È il 1990, siamo al San Paolo di Napoli. La Samp asfalta il Napoli di Maradona campione d’Italia in carica 4-1. Due gol di Vialli, due gol di Mancini: I tifosi partenopei a fine partita sono in piedi ad applaudire la Sampdoria.
È il preludio al 1º meritatissimo scudetto della storia blucerchiata, che arriverà poche settimane dopo.
Sarà un periodo meraviglioso per la Samp, Guidati da un Mancini strabiliante. “Mister Vujadin Boskov ha reso la mia giovinezza straordinariamente bella: oggi che non c’è più me lo immagino in cielo, seduto accanto a Mantovani…”
A Genova vincerà uno scudetto, quattro Coppe Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa delle Coppe, arrivando anche ad una storica finale di Coppa Campioni contro il Barcellona di Johann Cruijff e Pep Guardiola, persa per una punizione di Ronald Koeman ai supplementari.
“L’unico rimpianto della mia carriera…” dirà.
Sì, perché se avesse vinto anche quella, sarebbe entrato di diritto nella leggenda.
A 32 anni decide di cambiare, convinto da Sven Goran Eriksson e dal nuovo progetto Lazio.
Per molti è un giocatore finito, ma lui non è d’accordo.
I biancocelesti con Mancini (che risolverà tante partite anche entrando a partita in corso) vinceranno uno scudetto, due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, una coppa delle coppe e una Supercoppa Europea contro il Manchester United, grazie anche all’esperienza e alla classe del 10 marchigiano.
Memorabile poi la rete di tacco a Buffon contro il Parma.
“Fu bellissimo. Ricordo che Bobo Vieri mi gridava: ‘Tu sei pazzo, tu sei pazzo’…”
Poi è diventato allenatore. Lazio, Fiorentina, Inter, Manchester City, Galatasaray: esclusa la negativa parentesi russa allo Zenit, ovunque è andato ha lasciato il segno, scrivendo indelebilmente il suo nome nel Palmarés di tutti i club allenati, vincendo almeno un trofeo.
La speranza di tutti gli italiani è che si ripeta a giugno con la nostra, la sua Italia, con cui ha già scritto record inimmaginabili nel girone di qualificazione agli Europei. Quella nazionale che inspiegabilmente da giocatore non gli ha dato le gioie che sperava, e che probabilmente uno della sua classe meritava.
«Nell’82 Bearzot, nonostante non fossi nemmeno maggiorenne, mi fece sognare un po’: mi inserì nella lista dei quaranta, poi però alla fine, preferì Selvaggi. Poi venni convocato per una tournée in America: si stavano gettando le basi del Mondiali dell’86. C’erano ancora buona parte del nucleo storico, più alcuni giovani da inserire. Giocai bene, ma una sera uscimmo e rimasi in giro oltre l’orario limite. New York era bella, piena di luci, un paradiso per i miei vent’anni non ancora compiuti. Non feci nulla di male però: tornai solo più tardi del previsto. Bearzot mi aspettava al varco: fu il rimprovero più grande della mia vita, me ne disse di tutti i colori. Io forse ebbi il torto di non chiedere scusa, né quella notte, né una volta rientrati in Italia. Me la giurò: e non mi convocò mai più! E così saltò il secondo possibile Mondiale: quello dell’86… A distanza di anni, quando aveva smesso, lo incontrai e non mi fece nemmeno parlare: “perché non mi hai mai chiamato per chiedermi scusa?” Rimasi di sasso…
Poi arrivò Azeglio Vicini. Ero il capitano della sua Under 21: c’ erano Zenga, Vialli, Ferri, Giannini, De Napoli, Donadoni, la futura nazionale. Perdemmo il titolo europeo ai rigori: ma ci volle tutti con sé al suo debutto sulla panchina maggiore.”
Arrivò quindi Italia ’90: doveva essere il suo Mondiale, fu un vero e proprio incubo.
«Fui inserito nei ventidue, ma non sapevo se sarei partito titolare, comunque avevo buone possibilità. Ero nel pieno delle mie forze. Però proprio Vicini alla vigilia mi aprì il cuore: ‘La sorpresa del Mondiale sarà Roberto Mancini’ . Disse in un’intervista. Fu davvero di parola: di sette partite, non ne giocai neanche una. Neanche mezza… Non giocai neppure il Mondiale successivo. Sacchi mi tenne con sé fino al marzo del ’94. Mi disse che ero la riserva di Baggio ed io accettai. Poi però in un’amichevole dove Roberto non c’era, mi fece giocare solo un tempo e impazzii. Mi sentii tradito. Gli dissi che non avrei più messo piede in nazionale, sbagliando clamorosamente… Bearzot non mi chiamò nel 1986 perché non chiesi scusa, Sacchi mi lasciò fuori nel 1994 perché non tornai sulla decisione di autoescludermi, nel 1990 Vicini mi convocò ma senza mai schierarmi. Risultato: non ho giocato un minuto di un Mondiale, e la trovo un’assurdità anche se in buona parte la colpa è mia. E allora sa cosa le dico? Che a questo punto solo una cosa potrebbe farmi dimenticare le delusioni che il Mondiale mi ha dato. Vincerlo! Vincerlo come allenatore…».
E allora non possiamo far altro che sperare e darci appuntamento a Qatar 2022, per la rivincita di Roberto Mancini…