Siamo in Brasile, sobborghi di Rio de Janeiro. È il 1990. Tra le strade della grande “cidade” brasiliana, da quartiere a quartiere, inizia a girare la voce che nel campionato carioca di Futsal c’è un ragazzino di quattordici anni, soprannominato “Dadado”, che con la palla fa ciò che vuole.
Si dice che in appena quindici partite abbia segnato quarantotto gol. 48!
Lo nota tale Alfredo Sampaio, allenatore che lo porta nel São Cristovão. Quando lo vide giocare la prima volta, esclamò: “Mas isso é um fenômeno!”…
Già. Fenomeno. Appellativo che non si toglierà più di dosso.
Sampaio non ha esitazioni a lanciarlo con quelli più grandi nel calcio a 11, pur sapendo che quel ragazzino di quattordici anni proveniente dal Futsal, fino a quel momento non aveva mai giocato in un campo a 11.
L’impatto è surreale: gol a raffica, numeri da circo e uno scatto scioccante, nessuno gli sta dietro: allenatori e osservatori cominciano a capire di essere di fronte a qualcosa di differente. Qualcosa di speciale.
E la sua ascesa è più veloce del suo scatto impressionante.
A 16 anni e 8 mesi, sta già esordendo nel campionato Mineiro con il Cruzeiro.
A 17 e nove mesi ha già segnato 44 reti in 47 partite con il club brasiliano.
Quel ragazzo di nome fa Luis Nazario da Lima, iniziano a chiamarlo Ronaldo, e tutto il mondo si è già innamorato di lui.
Vince il mondiale a diciott’anni (anche se non scende mai in campo) e ormai, il richiamo “europeo” è troppo forte per uno come lui.
Lui che tra PSV, Barcellona e i primi anni di Inter ha quasi più gol che presenze (180 partite, 154 reti dal 1994 al 1999), dimostrando di essere un qualcosa di eccezionale.
Dire ad un calciatore che “è stato uno dei più forti di sempre” spesso è un grande, grandissimo complimento. Lo innalza rispetto alla media, lo si differenzia da buoni o ottimi giocatori.
Ma con lui no. Con lui credetemi, sarebbe riduttivo.
Perché no, non è stato solo uno dei più forti. È stato per tanti il più forte. In assoluto.
È stato un insieme di indescrivibili emozioni, un misto tra passione, esaltazione, sentimento, immedesimazione. È stato quel giocatore a cui ispirarsi quando si giocava nel campetto sotto casa. “Il fenomeno, il fenomenoo, il fenomenooo… Goooool” E via con l’immaginazione. Si provavano i doppi passi, le accelerazioni palla al piede, le sue esultanze… Sempre lui, solo lui. È stato il Calcio in tutto il suo significato.Riusciva a rendere semplici cose impossibili, faceva gol o giocate impensabili, ti spiazzava con le sue accelerazioni palla al piede e ti veniva spontaneo pensare: “no, non può essere umano questo qui!”
Per la prima volta ho creduto all’esistenza degli alieni.
Si percepiva un qualcosa di sovrannaturale in lui, soprattutto quando quei mostri sacri di Paolo Maldini, Alessandro Nesta, Fabio Cannavaro, Lilian Thuram, Jaap Stam provavano in tutti i modi ad arginarlo, quasi sempre senza successo.
Solo quei terribili e ripetuti infortuni lo riportavano tra i comuni mortali.
Il “tallone d’Achille”, o meglio, “il ginocchio di Ronaldo“.
Quando ha smesso di fare il calciatore un brivido ha attraversato le schiene di tutti noi.
Non potevo credere che una parte della mia adolescenza potesse morire con il suo addio al calcio.
Ma poi ripensandoci bene, posso solo che essere felice.
Felice di aver vissuto la sua epoca.
Felice di averlo potuto ammirare e, per quel che si poteva, di essermi ispirato a lui.