La passione per il Celtic non si può ridurre ad una semplice narrazione storica. È qualcosa che va oltre le origini del club e risiede nella voglia d’indipendenza ereditata dagli avi irlandesi.
Sostenere il Celtic è una questione di coscienza di classe e identità politica. Di unione d’intenti e di coesione. Di quel senso di ribellione che bolle nell’anima e permette di distinguersi da tutti gli altri scozzesi. Più degli stessi scozzesi in terra inglese.
Non si sceglie di tifare per il Celtic ma si nasce tifosi del Celtic.
Tifosi del più grande trionfo che una comunità svantaggiata e impoverita possa raggiungere con la determinazione. Il Celtic FC rappresenta infatti l’idolo sportivo della comunità operaia irlandese nell’Ovest della Scozia.
In qualunque parte della Scozia ci sia un tifoso del Celtic non farà altro che manifestare il suo senso di appartenenza a quel simbolo e quei colori che ne descrivono una naturale vicinanza alle vicende dell’Irlanda cattolica.
Il Celtic di Glasgow è molto più che una squadra di calcio. È una vera e propria istituzione sociale che permette di ostentare con orgoglio le proprie radici storiche, politiche, religiose e culturali.
Basta farsi un giro nei dintorni di Celtic Park e sentire risuonare nell’aria umida “I just can’t enough”, sulle note della canzone dei Depeche Mode, per rendersi conto di cosa significhi il Celtic per i suoi tifosi.
Non ne ho mai abbastanza
Questo il significato letterale di quella strofa che rende perfettamente l’idea di un legame indissolubile tra i tifosi e il club manifestato nella vita di tutti i giorni.
Eppure quando “brother” Walfrid, un prete di origini irlandesi, si occupò di fondare una squadra di calcio che potesse disputare incontri per beneficienza, non immaginava quale significato avrebbe assunto per tanti scozzesi il tifo per i colori biancoverdi.
Non a caso il Celtic ha un’enorme base di tifosi all’interno della diaspora irlandese, a testimonianza della mutua solidarietà e dell’identità tra gli scozzesi discendenti dalle famiglie meno abbienti provenienti dalla vicina Eire.
Il giorno della gara i tifosi confluiscono in migliaia di case in ogni parte di Greater Glasgow e Lanarkshire. Impiegati di banca, disoccupati, operatori sociali, muratori, insegnanti, operai, negozianti tutti sotto un’unica bandiera, quella con il quadrifoglio a tinte biancoverdi che tanto ricorda lo Shamrock irlandese.
Spinti da una dimensione emotiva derivante dalla loro origine etnica prima e dopo le partite si affollano in locali conosciuti a livello popolare come pub cattolici, irlandesi o celtici della Scozia Occidentale.
Il tifo per il Celtic è molto più di una passione, è la condivisione di un’ideale che si plasma nell’indipendentismo manifestato verso la madre patria. Un sentimento che raggiunge la massima espressione durante la Old Firm, il Derby più antico del mondo.
È in quel momento che il tifoso del Celtic può esaltare la sua inclinazione naturale ad una forma d’indipendenza non riconosciuta formalmente ma che diventa reale in contrapposizione ai rivali protestanti dei Rangers, l’altra squadra di Glasgow.
Un vero e proprio testa a testa che travalica i confini dello sport e mette a confronto due popoli che convivono nello stesso paese. Un antagonismo che oltrepassa il terreno di gioco e descrive le due anime della città.
Se tifi Celtic, sei automaticamente anche indipendentista, se tifi Rangers, sei unionista.
Non si scappa e questa rivalità vive in ogni respiro di Glasgow. Se il calcio è una fede, una religione, questo è ancora più vero se si vive nella capitale scozzese.
L’attaccamento al club per i tifosi del Celtic risiede nella volontà di dimostrare di stare dalla parte giusta, dalla parte del “vorrei ma non posso”. E allora il calcio resta l’unico modo per manifestare liberamente la propria cultura celtica e cattolica, anche oltre i 90’ minuti di gioco.
Il Celtic non sarà mai solo.
Ovunque il suo popolo lo accompagnerà in un tripudio di vessilli biancoverdi mentre l’eco di “You’ll never walk alone” risuonerà nel cielo d’Irlanda.